La piscina in sedia a rotelle
«Non sono competitiva, ma confesso che ogni tanto seminare un normodotato mi dà soddisfazione. Faccio le mie vasche con una diligenza che piano piano diventa ottusità del pensiero: bracciata dopo bracciata vengono diluite le questioni che mi occupavano la testa fino a cinque minuti prima, mi concentro sulle crepe sul fondo, sullo sporco che si accumula negli angoli, e più di tutto quando il sole filtra dall’alto sul luccicare variabile dell’acqua, sulla sua permeabilità ad essere attraversata, scomposta e ricomposta. Mi sembra che sia la cosa più simile al mio corpo, al mio midollo spinale maciullato e poi riunito che fa di me una creatura ibrida, per metà paralizzata, per metà del tutto semovente. Alla quarantesima vasca, però, comincio a sentirmi stanca e lì inizia la fine dell’idillio»