Corpo libero
Heavenly creatures, down in the puddle. Autrice con occhiali scuri al centro dei giardini della palazzina Liberty. Le dico che il suo nuovo romanzo mi è piaciuto, è insolito, sorprendente e ha una voce sua – forte, esattamente come l’altro che avevo letto, che era “Non è niente”, uscito 5 o 6 anni fa, segnando il suo esordio. Questo “Corpo Libero” (Feltrinelli) è il quarto titolo di Ilaria Bernardini ed è una vicenda di amore e ginnastica ambientata in una squadra di quattordicenni ansiose, nevrotiche, ipersensibili, granitiche e “nane”, come questa disciplina estrema impone che siano.
“Del libro Non ne stanno scrivendo pochissimo”, sussurra lei delusa-rassegnata. Provo a rincuorarla dicendo che più o meno è sempre così, si sa dove viviamo, no? E a me comunque questa storia che verso la fine si tinge di noir (e s’ingolfa un po’) ma fino a quel punto ha un prodigioso equilibrio, ginnico appunto, muscolare, pneumatico, tra romanzo psicologico, indagine di costume, apnea sottoculturale, mi sembra una delle rare cose nuove nello scaffale della narrativa nazionale.
Poi lei mi spiega com’è la questione del film, che dalle note a margine del testo si capisce poco: Ilaria ha lavorato per due anni con Martina Amati, un’amica regista, a un cortometraggio di 18 minuti sulle ginnaste della rappresentativa inglese, “Clutch”. Si è immersa in quell’ambiente e ci è rimasta impigliata, anche per quello che riguarda il suo linguaggio specifico – ovvero scriverle, queste storie. Poi il documentario ha avuto fortuna, ha vinto il Bafta e altri riconoscimenti. E Ilaria ha mescolato, spostato, dislocato, inventato e soprattutto ha assunto lei stessa il bioritmo di una minuscola ginnasta – dal momento che ha voluto scrivere con la voce di una di loro, piccolissima – e così è nato “Corpo Libero”. Che a sua volta mi sa che diventerà un film, un lungometraggio vero,
stavolta. Mentre la voce narrante di Ilaria, nel frattempo è diventata sapiente e, a tratti, smagliante.