L’Italia in Croce
Scusate il ritardo.
Girando per gli atelier e le istallazioni del Salone del Mobile, imbocco il nuovo passaggio sotterraneo, che collega direttamente la Triennale di Milano con l’attiguo teatro. In fondo a un corridoio tortuoso, invece che nell’abituale sala da recite, mi ritrovo nella penombra di una raccolta cappella religiosa. C’è un leggio con sopra un gran volume – che dovrebbe essere messale, ma si rivela essere la Costituzione Italiana. Poi un candeliere elettrico dove, con o senza offerta, si può pescare da sotto un cero votivo e lo si appiccia – a basso consumo – salvo accorgerci che si può scegliere in una fantasia di colori: bianco, rosso e verde. Ed ecco, alzando lo sguardo, disegnata in controluce dal faro nascosto in opposizione, l’enorme croce nera. Appesa, vermiglia, straziata, colando succhi vitali, c’è l’Italia. È il modo col quale il veterano del design italiano Gaetano Pesce partecipa alla rassegna dei nuovi stili di quest’anno. E ora se ne sta lì, sotto la sua “Italia in Croce” a spiegare come quell’opera ce l’abbia in testa dal ’77, ma allora l’avevano sconsigliato di realizzarla, per non prendersi la patente dell’eversivo, mentre adesso nessuno si è nemmeno preso la pena di sconsigliarlo. Poi dice che è la classe politica ad aver inflitto quel supplizio allo Stivale, incapace com’è di onorare il valore della creatività e del lavoro, perduta nell’insensatezza del dibattito frontale, insensibile alle spinte che arrivano dai giovani, sprofondata nel conformismo e nella mediocrità.
L’impatto, soprattutto ambientale, della provocazione di Pesce è forte, più del prevedibile. C’è la musica d’organo, la puzza d’incenso, il macabro nell’atmosfera. Ci può innervosire, per la vistosità del simbolo, per il sensazionalismo, non so, per la stessa idea che un designer renda “design” il disastro. Però siamo forse ora oberati di messaggi, seppure stentorei come questo? Non direi. E serve a qualcosa la risposta che Pesce a chi gli chiede, dal momento che ha messo in croce l’Italia, lui dove lo fa finire il corpo di Cristo. Dice: “Beh, fosse per me, io non l’avrei certo crocefisso”. E scavalcando di slancio il fatalismo, questa frase ci piace tanto.