La vecchissima guardia
In pochi giorni, in giro per Milano, ho incontrato una lunga galleria di personaggi della musica italiana tutti radicati ben dentro il Novecento e tutti col magic moment che risale addietro nel tempo, nei Settanta e negli Ottanta: Eugenio Finardi, Alberto Camerini, Claudio Rocchi, Ivan Cattaneo, Alberto Fortis. Mi è piaciuto parlare con loro, vedere come sono cresciuti, come stanno invecchiando con bizzarre diversità e sempre con classe, ciascuno sciogliendo l’ardore giovanile nelle tante storie accumulate, le peripezie, gli incroci e i bivi davanti ai quali hanno scelto che fare. Alcuni li ho anche sentiti suonare: Cattaneo improvvisa canzoncine con la chitarra avviticchiandosi sul manico, nemmeno fosse un ragazzino che sprizza ormoni e rock’n’roll, Finardi diventa una specie di santo ateo quando ha l’audacia d’intonare “Non diventare grande mai”, Camerini è torrenziale con le sue storie, le sue versioni dei fatti, le sue elettriche cantilene rotonde. Sono vivi, forti e direi poco rispettati, per quel che meritano, rispetto a ciò che capita altrove con personaggi della stessa razza.
Ma lo si è detto tante volte che in Italia le cose vanno così e che l’apartheid anagrafica è un editto promulgato per via televisiva. Poi ho visto dal vivo anche Claudio Rocchi e, come mi capita sempre con lui, mi ha impressionato. Caspita: mi suggestionava da ragazzino, quando alla radio sentivo la sigla del suo “Volo Magico” che introduceva il suo spazio a “Per voi giovani” e metteva quei dischi terribilmente alla moda come David Crosby, Third Ear Band – li aveva in anticipo faceva morire dalla voglia di trovarli. Mi ha stregato di nuovo quando è tornato dall’esilio musicale e una dozzina d’anni fa s’è fatto risentire con un paio d’album lucidi e lucenti. E mi ha colpito nel 2011, in un lunedì sera milanese sprofondato nella nebbia, quando in splendida solitudine, da solo con la chitarra acustica e una scatola di delay, ha cantato con voce limpida e tagliente e non ha colato neanche una stilla di nostalgia (nessuno di costoro batte quella strada). Ha parlato, ha spiegato come a un certo punto non si sia ritrovato più sotto nessuna sigla, nessuna identità collettiva, per non parlare dei movimenti politici, e poi ha cantato la canzone che ha dedicato a questo orgoglio individualista. Una piccola gemma chiamata “Io sto con me”. Cercatela.