Dan e Keith
Due signori di una certa età stanno addolcendo questo inizio d’anno. Di ciò che ha fatto Dan Peterson per gli appassionati di pallacanestro, decidendo di accettare la difficilissima scommessa di tornare a guidare una squadra imperfetta e priva di compattezza come l’Armani Jeans, gli esperti di questo sport hanno scritto a profusione negli ultimi giorni. Voglio solo sottolineare la genuina commozione che quest’uomo ha saputo generare col suo gesto, così spontaneo, illogico, istintivo e pazzo. Vale per tutto il quanto ci si possa essere turbati nell’osservarlo mentre rientrava negli spogliatoi, dopo il successo nella partita d’esordio di mercoledì scorso, 48 ore dopo aver accettato l’incarico e con il circo mediatico a mordergli il sedere. L’ho visto passare davanti alle telecamere di Sky appostate nel corridoio d’uscita, istintivamente tentare di nascondersi, di sottrarsi ai telecronisti in agguato. Ma poi tornare sui suoi passi, dopo aver sentito il richiamo della sua coscienza professionale – fino a due giorni prima anche lui campava di commenti sportivi – e allora sottoporsi alla trafila delle domande, confessando la spossatezza, l’emozione assurda che si prova a 75 anni, dopo aver capito che miracolosamente lo si poteva rifare e allora, cribbio, perché rinunciare, perché non sfiorare un’ultima volta quelle temperature emotive quasi fatali? Bellissimo, soprattutto per l’umanità del nano ghiacciato. Chi poteva supporre che da una storia così strana potesse arrivare un flusso emotivo tanto travolgente e così percepito da tanta gente, anche alla periferia di questo sport?
Bellissimo almeno un disco di cui mi sono accorto in ritardo, ma del quale, per fortuna, alla fine, appunto mi sono accorto. È il primo album di studio in 12 anni di Keith Jarrett, un altro che non è più un ragazzino e ne ha già compiuti 65. Il disco, uscito nel maggio scorso, è a quattro mani col vecchio amico e collaboratore Charlie Haden, il contrabbassista con cui Jarrett si è reincontrato nel 2007, mentre quest’ultimo stava girando un documentario sulla propria carriera. I due musicisti hanno suonato un po’ in duo nello studio di Jarrett, ci hanno provato gusto, allora hanno deciso all’impronta di approfondire l’esperimento e per quattro giorni hanno lavorato in solitudine, in quel remoto angolo di New Jersey che si chiama Oxford Township, all’ingresso della valle del Lehigh, dove Jarrett va a nascondersi quando non è in tour. L’album, che è una raccolta di standard sui quali i due musicisti conducono sinuose esplorazioni e affiatate ricerche tra le pieghe delle soluzioni armoniche e melodiche, s’intitola “Jasmine” e mi voglio augurare che possa avere, almeno su qualcuno di voi, lo stesso effetto che ha su di me: trasmette pura serenità, contribuisce alla calma, alla concentrazione, perfino alla vostra pace interiore. È un po’ retorico, ridondante, come ormai Jarrett non riesce più a non essere, in certi casi è scolastico, perfino un po’ piacione. Ma fa star bene, ti mette a tuo agio. Provare per credere. E un bacio sulla fronte a due vecchi leoni come Dan e Keith che, dall’alto del loro saper vivere con stile, sgocciolano miele per il nostro cuore e le nostre orecchie.