E allora meglio essere zecche
Un giorno a Milano alcuni vicini di casa di Ignazio La Russa protestarono perché dal suo appartamento veniva un bel casino, c’era una festa. I giornali il giorno dopo scrissero che lui nel mezzo della lite aveva urlato “zecche comuniste”. Cosa che poi La Russa negò: «Li avrò chiamati comunisti, è vero. Ma zecche no, è un termine che usano a Roma». È una parola che usano da sempre i fascisti romani. E la usa Matteo Salvini. È così che il Ministro dell’Interno della Repubblica Italiana ha definito Carola Rackete: una zecca. Zecca tedesca per la precisione.
Proprio come avrebbe detto un militante di Casapound o di Forza Nuova, o uno del Fronte della Gioventù in anni passati. Come qualche coraggioso fascista online ha scritto in Rete dopo la morte di Camilleri: “una zecca in meno”. O come scrissero mani ignote e nascoste sui muri dopo la morte di Walter Rossi, a Roma, ucciso da un colpo di pistola alla nuca sparato da un gruppo estremisti di destra nel 1977: “Qui si è estinta una zecca”. Scrissero proprio così. C’era la caccia alla zecca, un tempo a Roma e non solo. Anche Renata Polverini quando era presidente della Regione Lazio usò quella parola. A un gruppo di ragazzi che la contestavano gridò: «Le zecche come voi non mi fanno paura». Quando nel 2017 Andrea Iacomini, allora portavoce di Unicef Italia, espresse con un tweet il suo sostegno allo ius soli venne sommerso da insulti, tra cui anche “zecca subumana”. E quando qualche settimana fa a Roma un gruppetto ha circondato e aggredito un ragazzo con la maglietta del Cinema America, gli ha prima urlato in faccia “zecca comunista”. Massimo Corsaro, nel 2017 parlamentare di Fratelli d’Italia, disse che Emanuele Fiano portava le sopracciglia folte «perché così copriva i segni della circoncisione». A chi protestava disse «Vedo che le zecche stanno alzando la voce».
Potrei andare avanti a oltranza con gli esempi. Tutti simili. Il termine zecca per definire chi è di sinistra lo usa chi appartiene a quel tipo di destra, chi proviene da quel mondo. Se il ministro Salvini lo utilizza, se usa quella parola, è per parlare come loro. Per fare capire: io sto con voi, io sono uno di voi.