La sentenza di Garlasco
Dopo che è stata pronunciata la condanna nei confronti di Alberto Stasi a 16 anni di carcere per l’omicidio della sua fidanzata, Chiara Poggi, la rete si è riempita di post e tweet del tipo: “Giustizia è fatta”. Beato chi ha queste straordinarie certezze. Io non so se Stasi sia colpevole o innocente, questa storia è un enorme groviglio dall’inizio e lo è diventata ancora di più con il passare degli anni: 7 anni. Tanti. Certo, questa volta le perizie andavano tutte in favore dell’accusa. Questa volta. Perché nel processo di primo grado e poi nell’appello che avevano visto l’assoluzione di Stasi, le indagini scientifiche avevano giocato a favore dell’imputato. Stasi è stato condannato così come prima era stato assolto: sulla base di perizie che questa volta hanno dato risposte diametralmente opposte alla prima volta.
Bisogna tornare al 13 agosto 2007 per cercare di seguire un filo in questo groviglio assoluto. A quando, dopo il ritrovamento del corpo di Chiara Poggi, uccisa in casa sua con un oggetto che non è mai stato individuato, Garlasco, oppressa dall’afa d’agosto, si trasformò in un grande set di cattivo gusto. Pochi ricordano forse le gemelle Cappa, le due cugine di Chiara che si produssero in un fotomontaggio e l’appesero sul cancello della villetta dove viveva Chiara per dimostrare a tutti che con la cugina erano molto legate. Cercavano un po’ di attenzione, la ottennero. Arrivò a Garlasco Fabrizio Corona, sulla sua Bentley, cercò di scritturare proprio le gemelle Cappa: il papà delle ragazze lo cacciò. Arrivò anche Alessio Sundas, si definiva agente dello spettacolo. Poche settimane prima aveva messo sotto contratto Marco Ahmetovic, un ragazzo rom di 22 anni che ad Appignano, vicino ad Ascoli Piceno, aveva ucciso quattro ragazzi investendoli con il suo furgone. Era ubriaco. Sundas lo fece fotografare mentre indossava occhiali, magliette, jeans di una linea che decisero di chiamare “Linearom”. A chi lo contestava, Sundas rispondeva «Non è colpa mia se Ahmetovic è una star». A Garlasco offrì 50.000 euro ad Alberto Stasi perché scrivesse un istant book. Fu cacciato anche lui.
Intanto erano iniziate le indagini. Un po’ così, a dire la verità. Nella villetta dei Poggi vengono trovate tracce. Ci sono quelle dei familiari di Chiara, quelle di un falegname che qualche settimana prima del delitto ha fatto dei lavori nella villetta. E ci sono tracce dei carabinieri, tante. Molte tracce, scrivono le perizie «esibiscono una suola a carro armato, tipica delle calzature pesanti, nonché di quelle militari». Nell’aula del tribunale si scoprirà anche che un divano è stato addirittura spostato: «L’originaria posizione del divano, così come ripreso dall’Arma territoriale di Pavia all’atto del primo sopralluogo, era parzialmente sovrapposta all’area in cui sono state osservate le tracce». L’autopsia viene effettuata il 16 agosto. Chiara è stata uccisa tra le 10 e le 12 del 13 agosto, presumibilmente tra le 11 e le 11:30. Non c’è autopsia che possa stabilire con certezza assoluta l’ora della morte ma qui a Garlasco, nell’estate del 2007, l’improvvisazione ha viaggiato libera. La salma dovrebbe essere pesata: il rapporto tra peso e calore corporeo fornisce le indicazioni più attendibili sull’ora della morte. A Pavia, dove il corpo di Chiara era stato portato, manca la bilancia. Nessuno ha pensato di farla arrivare da Milano.
Quando Chiara verrà sepolta, gli investigatori si renderanno conto che nessuno ha preso le impronte della ragazza. Come fare a distinguere le sue da quelle di un possibile assassino? Il corpo della ragazza verrà riesumato, l’errore riparato. Spuntano le testimonianze: una vicina ha visto una bicicletta nera appoggiata la mattina del delitto al cancello di casa Poggi. I carabinieri sequestrano una bicicletta a casa Stasi, ci si accorgerà dopo anni che è stata sequestrata quella sbagliata. Anche il computer di Alberto, che sostiene di essere stato impegnato sulla tesi all’ora del delitto, è sequestrato. Il computer viene spento, i tecnici faticheranno non poco a tirare fuori materiale valido. Saltano fuori file che vengono definiti pedopornografici.
Nel frattempo Alberto Stasi è indagato: il 24 settembre viene arrestato, sarà rilasciato qualche giorno dopo. Agli inquirenti ripete la sua versione: quella mattina sono andato a casa di Chiara perché non rispondeva al telefono, sono entrato in casa e l’ho trovata riversa sulle scale della cantina in un mare di sangue, sono uscito e mi sono diretto alla caserma dei carabinieri telefonando contemporaneamente al 118. Questa versione non verrà mai cambiata, davanti ai giudici e pubblicamente. In questi anni Alberto si è fatto intervistare pochissime volte ripetendo «Sono un ragazzo normale, medio-normale».
Si arriva al primo processo, a Vigevano, nell’aprile del 2009. L’accusa è convinta: Alberto Stasi è colpevole, ha ucciso Chiara perché lei ha trovato sul suo computer quei file pedopornografici (un processo stabilirà poi però che quei file non erano stati scaricati intenzionalmente). È un rito abbreviato, il giudice Stefano Vitelli si ritira in camera di consiglio, ne esce il giorno dopo ma non ha deciso nulla. Scrive: “Emergono alcune significative incompletezze di indagine che per la loro rilevanza devono essere oggetto di un approfondimento istruttorio”. Il giudice ordina una super perizia medico legale. Del computer di Stasi dice che sono stati fatti passi “metodologicamente scorretti”. Tutti fuori, tutti al lavoro. Il giudice ordina nuove perizie. Con quelle che ha in mano non è possibile vederci chiaro. In pratica, è stato fatto un casino.
La super perizia deve rispondere soprattutto a una domanda: è possibile che una persona cammini sulla scena di un delitto, con il pavimento cosparso di sangue, senza che sulla suole delle sue scarpe, sequestrate 48 ore dopo, rimanga la pur minima traccia ematica? L’accusa sostiene che non sia possibile: Stasi avrebbe buttato via le scarpe imbrattate di sangue consegnandone altre agli inquirenti, sostiene il procuratore. La perizia ordinata dal giudice Vitelli spiega invece che è possibile, che nelle 48 ore successive, la suola delle scarpe si sia completamente pulita per sfregamento contro il suolo. Stasi viene assolto. Il processo d’appello arriva alla stessa conclusione.
Il 18 aprile 2013 la Corte di Cassazione decide l’annullamento della sentenza d’appello e ordina un nuovo processo. Si ricomincia. La famiglia di Chiara Poggi è però convinta che Alberto Stasi sia l’assassino, l’avvocato di parte civile continua ad accumulare materiale. È lui a scoprire che la bicicletta nera di casa Stasi, quella che avrebbe dovuta essere sequestrata all’inizio, non ha più i pedali originali. Lo testimonierà al processo d’appello bis un tecnico dell’azienda produttrice, la Umberto Dei: i pedali non so quelli originali. Un tassello a favore dell’accusa.
Il giudice dispone una nuova super perizia. E cambia tutto. Questa volta i periti dicono che ci sarebbe stata una sola possibilità su un milione di calpestare il pavimento di casa Poggi senza che sulla suola delle scarpe rimanessero tracce di sangue. In pratica: le cose non possono essere andate come le ha raccontate Alberto Stasi. Ma c’è di più: osservando le fotografie scattate al momento del ritrovamento del corpo di Chiara si vede l’impronta di una mano insanguinata sul pigiama della ragazza. Nessuno, in sette anni, aveva mai visto prima quell’impronta. Questo indizio, unito all’impronta di Stasi trovata sul dispenser del sapone nel bagno di casa Poggi, ha probabilmente convinto il giudice che l’assassino abbia toccato Chiara dopo averla uccisa e che poi si sia lavato le mani. E che l’assassino sia Alberto Stasi.
Capiremo, quando saranno rese note le motivazioni della sentenza, tra 90 giorni (ma perché ci vogliono 90 giorni?) cosa abbia spinto la giuria a stabilire la colpevolezza di Stasi. Quali prove abbia ritenuto decisive. C’è ancora la Corte di Cassazione, certo, ma la sentenza di ieri ha tutta l’aria di aver posto la parola fine su questa storia. Almeno dal punto di vista giudiziario, che è quello che conta. La certezza assoluta, immagino, non ci sarà mai. Ma non ci sarebbe stata nemmeno se Stasi fosse stato giudicato ancora una volta non colpevole.