Morire ammazzati di marzo
Io ricordo Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci. Fausto e Iaio. Avevano 18 anni, li ammazzarono 36 anni fa, il 18 marzo 1978. Era sabato, le otto di sera, in via Mancinelli, a Milano, a due passi dal Leoncavallo che allora era lì, al Casoretto. Piazza Durante è a 500 metri, oggi i giardini in piazza si chiamano Giardini Fausto e Iaio. È passata una vita, è cambiato tutto da allora. Il muro di via Mancinelli però è ancora lì a chiudere qualsiasi fuga e speranza. Una vita è passata, quell’immenso fiume di ragazzi che allora sfilò davanti alle bare coperte di fiori rossi oggi non c’è più, tanta acqua è passata sotto i ponti, quel fiume si è disperso in mille rivoli.
Ricordo Fausto e Iaio perché 36 anni dopo i loro assassini sono ancora liberi. Il 6 dicembre 2000 il giudice per le indagini preliminari Clementina Forleo emise il decreto di archiviazione. C’era scritto: «Pur in presenza di significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva e in particolare degli attuali indagati, appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite indiziario e ciò soprattutto per la natura del reato delle pur rilevanti dichiarazioni». C’è una verità storica, come spesso in Italia ma una verità giudiziaria non c’è. Viene in mente Pasolini: «Io so ma non ho le prove…».
Ricordo Fausto e Iaio perché erano due come noi, come decine di altre migliaia. Poteva essere chiunque, quella sera. Si erano dati appuntamento in via Leoncavallo, fuori dalla Crota Piemunteisa, dovevano andare a casa di Fausto, la mamma stava facendo il risotto. I testimoni raccontarono che quel pomeriggio nella sala biliardo del locale c’erano stati tre giovani mai visti prima. Quel pomeriggio Fausto era stato al parco Lambro con gli amici, Iaio in centro a fare un giro con la ragazza. Erano di sinistra, i cortei, le discussioni, ma non erano di nessun gruppo, facevano la vita di tanti. La musica, le partite di calcio all’oratorio, i concerti, la chitarra, qualche serata al Leoncavallo.
Era cupa Milano in quelle ore, era cupa l’Italia. La mattina di due giorni prima, il 16 marzo, le Brigate Rosse avevano rapito Aldo Moro, i cinque uomini della scorta erano stati massacrati. C’era un misto di paura e sbigottimento, Toni Negri avrebbe parlato della «geometrica potenza delle Brigate rosse». Quella sera Fausto e Iaio uscirono da via Leoncavallo, presero via Lambrate, piazza San Materno e poi via Casoretto, via Mancinelli. Li ammazzarono all’altezza della scuola inglese Sir James Henderson School. Un testimone vide tre uomini, due avevano un impermeabile chiaro, il terzo un giubbotto di pelle. Si avvicinarono e dissero qualcosa, poi spararono, otto colpi di calibro 32, attorno alle pistole avevano un sacchetto di plastica per raccogliere i bossoli. Non erano sprovveduti. Il campanile della chiesa del Casoretto batteva le 20. Raccontò una testimone, Marisa Biffi, che stava andando in parrocchia con le due figlie (tutte le testimonianze sono raccolte nel libro di Daniele Bianchessi, La speranza muore a 18 anni):
«Odo tre colpi attutiti che lì per lì sembrano petardi tanto che penso che quel gruppo di quattro persone sta scherzando. Non vedo alcuna fiammata di arma da fuoco. I tre giovani sul marciapiede scappano velocemente mentre quello che è piegato su se stesso cade in terra. Solo allora comprendo che è successa una cosa pazzesca e mi avvicino al giovane caduto anziché entrare subito nella parrocchia. Scorgo la fisionomia di un ragazzo steso per terra in una pozza di sangue. Subito oltre il suo corpo e quindi più vicino alla via Leoncavallo, c’è davanti a me, a un paio di metri, il corpo di questo ragazzo che prima non avevo visto né in piedi né a terra. Posso senz’altro affermare che quello che cade è Lorenzo Iannucci mentre quello già steso a terra è Fausto Tinelli. Nessuno dei due ragazzi pronuncia alcuna parola, neppure un’invocazione di aiuto. Altrettanto fanno gli assassini che fuggono nel silenzio, avviandosi verso via Leoncavallo. Escludo di aver visto mettersi in moto una macchina verso via Mancinelli, subito dopo gli spari».
Iaio agonizzò fino all’arrivo della prima ambulanza, Fausto era già morto. C’è una foto in bianco e nero, si trova su Internet: la macchia di sangue si allarga, il corpo di Fausto è vicino al marciapiede. La polizia arrivò sul posto e parlò di regolamento di conti, lo faceva sempre allora, per prendere tempo probabilmente. Ma la notizia viaggiò veloce, ricordo la rabbia di quei giorni.
Arrivò una rivendicazione dai Nar, Brigata Franco Anselmi. Anselmi era un militante fondatore dei Nar che 12 giorni prima era stato ucciso durante una rapina a un’armeria, a Roma. Della brigata Franco Anselmi faceva parte Massimo Carminati, un fascista che faceva i lavori sporchi per la banda della Magliana.
Ci sono stati anni di inchiesta, la condusse Armando Spataro e poi altri sostituti procuratori. In quel 1978 un giornalista dell’Unità, Massimo Brutto, raccolse testimonianze, si era impegnato senza sosta. Il 25 novembre, di sera, aveva un appuntamento con una sua fonte. Lo videro uscire da un bar di via Murat, una Simca 1100 bianca lo investì e scappò. La borsa di Brutto sparì, la ritrovarono qualche ora dopo, vuota. Della Simca e del suo guidatore non si è mai più saputo nulla.
Fece un’inchiesta importante Umberto Gay, giornalista di Radio Popolare, poi consigliere comunale. Gli indizi portavano a Roma, all’area del terrorismo diffuso che gravitava intorno ai Nar senza farne ufficialmente parte. Terroristi neri in trasferta a Milano. I nomi dell’inchiesta poi archiviata nel 2000 sono quelli di Massimo Carminati e Mario Corsi. Il 18 marzo 2000 Umberto Gay convocò una conferenza stampa. Disse: «Io accuso Mario Corsi di essere nella migliore delle ipotesi la “spalla” e nella peggiore il killer di Fausto e Iaio. Mi assumo le mie responsabilità e per la prima volta siete di fronte ad un soggetto privato che sceglie di accusare una persona con nome e cognome per quel delitto».
I funerali di Fausto e Iaio si celebrano il 22 marzo 1978. A Milano è una giornata tersa come se ne vedono poche. Non ci sono striscioni, lo hanno chiesto le mamme dei due ragazzi. Da una finestra Biagio Longo descrive in diretta per Radio Popolare quello che sta succedendo, si commuove. Una marea di gente, 100.000 secondo la Questura, un silenzio spaventoso. Arrivano i furgoni con le bare, sono i compagni di scuola di Fausto e Iaio a prenderle in spalla, le portano sul sagrato della chiesa Santa Maria Bianca. Nelle fabbriche di Milano il lavoro si è fermato, dal deposito Atm escono i lavoratori, salutano a pugno chiuso le bare che passano, il sagrato è pieno di fiori rossi. Piangono in tanti, piange Don Perego che non riesce a finire la messa. La bara di Iaio va verso il cimitero di Lambrate, quella di Fausto verso Trento, la famiglia è di lì.
Le decine di migliaia di persone continuano a camminare, passano in via Mancinelli, dove c’era il sangue il marciapiede è rosso di fiori, c’è solo silenzio.
Quando in questi 36 anni mi è capitato di passare da lì ho chinato la testa. Lo farò sempre. Per sempre ricorderò Fausto e Iaio, morti ammazzati una sera di marzo.