“La Collina” e le tante storie di San Patrignano
La collina, il libro in cui Andrea Delogu racconta la sua vita di bambina a San Patrignano, è potente e fa stare male. È un romanzo, “si ispira” alla storia di San Patrignano, dice Andrea Delogu (il libro è stato scritto con Andrea Cedrola). Non è difficile nel libro riconoscere storie e personaggi, individuare in Riccardo, Vincenzo Muccioli – il fondatore di San Patrignano – in Sebastiano, Roberto Maranzano – il ragazzo che a San Patrignano venne ucciso di botte e poi gettato in una discarica, a centinaia di chilometri di distanza. Andrea Delogu racconta la sua vita in un posto che per lei bambina era meraviglioso. E poi però anche la sensazione, che arrivava sempre più pesante, che ci fosse qualcosa che non andava. Ha raccontato la sua storia e quella di altri, dei suoi genitori ma anche di tanti che con lei hanno deciso di ricordare, spesso senza reticenze. Ha ragione Andrea Delogu quando, in un’intervista alle Invasioni Barbariche, ha detto che non c’è nulla di nuovo, che è tutto agli atti. È vero, è tutto lì: le testimonianze, la ricostruzione di violenze pesanti, tutto ciò che nei processi è venuto fuori, indelebilmente.
E tornano, leggendo La collina, le vecchie infinite discussioni. Tanti si sono salvati dall’eroina. Tanti hanno subito sopraffazioni e violenze che con la disintossicazione non c’entravano nulla. Ci sono tante verità diverse nella storia di San Patrignano, tanti gli angoli da cui guardare. Bisogna leggerlo La collina per entrare dentro quel mondo. Chi, come me, è nato nei primi anni Sessanta ha conosciuto persone morte d’eroina e altre che si sono ammalate di Aids. È stata, per alcuni anni, una carneficina. Un mio amico, tornato da Sampa (così la chiamava lui) diceva: «Sì, quello che raccontano è tutto vero. Ma io sono qui».
Ho trovato su internet una lettera scritta da Giuseppe Maranzano. Suo padre era Roberto Maranzano, uno di quelli puniti in comunità perché non “osservava le regole”. Punito fino a essere portato nella macelleria, uno dei reparti dove i disobbedienti venivano rinchiusi. Lì venivano massacrati di botte. Gli assassini di Maranzano erano “il servizio d’ordine della comunità”, quelli che facevano rispettare le regole, a ogni costo. E le regole erano anche che di certe cose non si parlava, altre non si vedevano, che ciò che veniva deciso era comunque giusto. Maranzano venne caricato nel bagagliaio di una macchina e portato fino a Napoli, la sua città. Gettarono il corpo in una discarica. La squadra mobile di Napoli pensò a un regolamento di conti nella piccola malavita. Ma poi qualcuno parlò, e dopo poco parlarono altri. Muccioli disse di essere all’oscuro di tutto, poi ammise di aver saputo, ma solo dopo. Eppure, sosteneva l’accusa, nessuno poteva uscire dalla comunità, in macchina poi, senza che lui, il capo, sapesse. Muccioli parlò di mele marce, dell’impazzamento di alcuni. Venne condannato a otto mesi per favoreggiamento, gli esecutori dell’omicidio ebbero pene dai sei ai dieci anni, credo che nessuno alla fine scontò il carcere. Nella lettera, pubblicata nel 2010 nel blog di Beppe Grillo, il figlio di Maranzano scrive «Io non voglio distruggere nessuno e nessuna cosa, voglio soltanto che venga restituita la dignità a mio padre e agli altri ragazzi che da quella collina non sono usciti vivi». Durante il processo vennero fuori storie di suicidi, di violenza, di umiliazioni. Nel romanzo di Andrea Delogu c’è tutto.
Sono passati anni da quei processi, Vincenzo Muccioli è morto nel 1995. Mi ricordo le immagini di quei giorni di San Patrignano erano immagini di dolore vero, con centinaia di ragazzi disperati.
Andrea Delogu non ha pretese una verità unica. Racconta ciò che ha visto, quello che tanti hanno provato. Ci sono tante vite in quel racconto.