La mattanza dei tifosi del Tottenham e le urla “Juden” allo stadio, il giorno dopo

Il 7 marzo 1979 al Palazzetto dello sport di Varese si giocava Emerson Varese – Maccabi Tel Aviv, semifinale della Coppa del campioni di basket. Se andate a vederle, le fotografie di quella sera sono impressionanti. Gli ultras del Varese agitarono per tutta la partita decine di croci di legno intonando Adolf Hitler ce l’ha insegnato, uccidere un ebreo non è reato. Dal resto del palazzetto non vennero grosse reazioni, molti sorrisero, qualcuno si unì al coro. I tifosi israeliani presenti erano sotto choc: non potevano nemmeno immaginare che stesse accadendo davvero. Senza tra l’altro che qualcuno intervenisse (addirittura le croci vennero prima sequestrate dalla polizia, poi riconsegnate nel corso della partita). In curva comparve poi uno striscione conclusivo: 10, 100, 1000 Mathausen, questo c’era scritto.

Ci fu emozione nei giorni seguenti, furono arrestati una decina di ultras del Varese legati al Fronte della Gioventù (Fiuggi e tutto il resto erano ancora bel lontane). Poi la cosa finì lì.

Sono passati 33 anni, siamo ancora a quel punto. Anzi, peggio.

Non so quale sia la “matrice” di ciò che è successo a Roma l’altra sera, la mattanza ai danni dei tifosi del Tottenham. Mi sembra che la cosa più probabile sia che ci fosse la voglia di massacrare “i bastardi inglesi”. E che comunque sottotraccia ci sia una vaga ma violentissima componente razzista antisemita: quei tifosi inglesi erano comunque “Juden”, colpevoli di essere tifosi della squadra riferimento della comunità ebraica di Londra (mi sembra invece fantasiosa la teoria secondo la quale siano stati scambiati per tifosi del West Ham). So solo che questa brutta storia conferma ancora una volta quello che sul Post è stato scritto molte volte: c’è una saldatura netta tra gruppi ultras sulla carta assolutamente nemici ma che si alleano in nome degli affari e, anche se pare assurdo dirlo, di una connotazione politica razzista e filonazista. So già le obiezioni: non bisogna generalizzare, non tutti i gruppi ultras sono così, non tutti in curva nord a Roma sono d’accordo (e ci mancherebbe altro). Tutto vero. Però quello che è successo è sotto gli occhi di tutti. È lì, c’è il sangue a terra, ci sono i coltelli, ci sono le mazze. E ci sono i cori il giorno dopo, durante la partita, quella parola scandita “Juden”. In quanti, presenti allo stadio, hanno reagito? È anni che questa storia continua. Provate a mettere in fila striscioni e cori, da quello dedicato al torturatore e massacratore di donne e bambini Arkan (esposto sempre dalla curva laziale nel febbraio del 2000) ai cori degli ultras del Varese contro il giocatore nigeriano Giulio Ebagua (a proposito, gli ultras del Varese calcio si chiamano Blood and Honour, Blut und Ehre, in tedesco, motto di una divisione delle SS). Per poi passare per Verona, dai manichini dei giocatori di colore impiccati in curva alle svastiche esposte sugli spalti. L’elenco è infinito, da Ascoli a Trieste, da Napoli a Torino per non parlare del gruppo Ultras Italia, che segue la Nazionale, nato da un’allenaza tra gruppi di estrema destra soprattutto del Nord Est.

Siamo in Italia, Occidente, 2012. Pensare al punto in cui siamo fa venire i brividi. Leggere dell’indignazione, sbalordimento e furia dei giornali inglesi fa provare vergogna. E basta dire “il calcio non c’entra” (tanti ancora lo dicono). C’entra anche il calcio, c’entra eccome. Perché è in alcune curve che certi gruppi nascono, aggregano e prosperano. A Roma, ma non solo. Ed è il calcio che deve occuparsi seriamente della cosa. Il presidente della Lazio Lotito ha detto: «Avrete delle sorprese, gli aggressori non sono laziali». Sono anche laziali presidente (le ultime dalle indagini dicono che siano stati due laziali ad aggregare il gruppo), e romanisti. Dalla Curva Nord alla Curva Sud. E le urla “Juden”, il giorno dopo allo stadio, presidente, le ha sentite? Dalla Federcalcio, dalla Lega calcio, silenzio assoluto, nulla si muove. Le società, e lo sanno tutti, continuano per lo più a sopportare oppure ad avere rapporti sereni anche con i gruppi più delinquenziali, così, per non avere problemi. E i giocatori? Avete mai sentito un giocatore, dico uno solo, dire qualcosa a proposito? Ne avete mai visto uno uscire dal campo dopo aver sentito cori razzisti? È ora che chi gestisce il calcio, e con il calcio fa i soldi, si muova. È ora che chi va allo stadio inizii se non altro a far sentire isolati, fuori luogo e fuori tempo, i grotteschi violenti razzisti da curva.

Stefano Nazzi

Stefano Nazzi fa il giornalista.