La fine degli ultras (e dei tifosi)
L’ultimo gruppo a sciogliersi è stato quello dei Vigilantes del Vicenza: era comparso in curva, allo stadio, 34 anni fa. Poche settimane prima si erano sciolti gli Ultras Bari, nati nel 1976. Alcuni loro capi erano finiti in carcere per la storia delle scommesse: minacciavano i giocatori perché perdessero le partite assicurando così a loro buoni introiti con scommesse sicure. Tanti gruppi ultras di serie minori si sono sciolti e si stanno sciogliendo.
La verità incontestabile è che le norme del Ministero dell’Interno (tessera del tifoso, restrizioni sulle trasferte) stanno avendo successo: secondo l’osservatorio del Viminale le partite con incidenti sono diminuite da 208 del campionato 2005-2006 a 107 dello scorso campionato. I feriti tra le forze dell’ordine sono passati da 510 a 66, i tifosi feriti erano 206 nel 2005-2006, sono oggi 123. Le persone denunciate sono state in questi anni 887, oltre 4.700 quelle sottoposte a Daspo, e cioè al divieto di accedere a manifestazioni sportive. Che la situazione sia drasticamente cambiata lo dimostra il pugno durissimo utilizzato dopo i fatti di Genoa-Siena dell’aprile scorso, quando gli ultras della curva nord, protestando perché il Genoa perdeva 4-0, “obbligarono” i giocatori rossoblù a togliersi la maglia (in realtà non ci fu da parte dei giocatori nessuna resistenza). Dodici tifosi vanno a processo per direttissima accusati di violenza e minacce agli steward e di minacce ai giocatori. Per quella partita i Daspo sono stati 110, in pratica la curva genoana è stata decimata.
Ora anche gli striscioni sono sottoposti a controlli rigidi: da quest’anno saranno ammessi solo quelli registrati presso il Ministero dell’Interno all’inizio del campionato: ci sarà quindi un albo degli striscioni “certificati”. Poi chi frequenta gli stadi sa benissimo che ormai da anni nelle curve compaiono gli striscioni “estemporanei”: lenzuolate bianche con scritte a vernice spray fatte al momento, già dentro lo stadio (ce n’erano un bel po’ contro Palazzi e la giustizia sportiva alla prima partita in casa della Juventus, allo Juventus Stadium).
Perché la verità è che allo stadio continuano a entrare cose che in teoria non dovrebbero entrare: basta sentire le esplosioni fortissime durante alcune partite. Ci sono steward, in molti stadi, che chiudono un occhio. O che comunque non hanno nessuna intenzione di mettere a repentaglio la propria incolumità fisica. In molte curve continuano a farla da padroni gruppi della criminalità organizzata che gestiscono gli affari dei biglietti, del merchandising e, a volte, anche dello spaccio.
Molti capi ultras hanno ottimi rapporti con dirigenti delle società e con giocatori: i loro nomi sono saltati fuori spesso nell’inchiesta sulle scommesse. Insomma, le norme del Ministero dell’Interno stanno ottenendo gli obiettivi che si erano prefissati, ma da parte delle società e spesso anche dei calciatori il salto in avanti non c’è stato. Nessuna società calcistica in Italia, per esempio, ha mai adottato norme severe contro i cori razzisti (cosa che è stata fatta da parte di molti club in Inghilterra e Germania).
Il successo è l’eliminazione, o almeno il notevole contenimento, della violenza. Il rischio è che i gruppi ultras più furbi, gestiti dalla criminalità, continuino a prosperare nei loro affari mostrandosi però assolutamente tranquilli e accondiscendenti.
C’è poi un altro fatto: la gente allo stadio comunque non ci torna. In trasferta non va quasi più nessuno, troppe le limitazioni e le procedure burocratiche. I biglietti (ma qui posso solo citare la realtà di Milano, che conosco) costano un’enormità. Gli stadi (a parte l’esempio dello Juventus Stadium) fanno schifo, non offrono nulla. Contano solo le esigenze televisive. Insomma, non spariscono solo gli ultras, spariscono proprio gli spettatori.