Calciatori, scommesse, ultras e criminali
Il coperchio è saltato, quello che sta venendo fuori sul mondo del calcio italiano fa piuttosto impressione. In pratica sappiamo oggi con certezza che alcune partite del campionato di Serie A sono state “comprate”. Il risultato era stabilito per fare in modo che una serie di scommettitori potessero farci i soldi. Tantissimi soldi. Ma il problema è più vasto: se sono falsate le partite lo è il campionato. Il tutto è desolante: la criminalità organizzata gestisce le scommesse, per farlo mette a libro paga una serie di giocatori. E a fare da intermediari con i giocatori ci sono spesso capi ultras. Che poi sono anche membri dei gruppi criminali. È un cerchio perfetto, se è vero che gli ultras-criminali (non tutti gli ultras, ovviamente), riescono anche tranquillamente a mantenere rapporti con i dirigenti delle società. E a esercitare su di loro pressioni.
Andrea Masiello, ex giocatore del Bari, oggi all’Atalanta, ha ammesso che nello scorso campionato fece il famoso autogol nella partita contro il Lecce, finita 0-2, perché gli erano stati promessi molti soldi. il Bari poi finì in serie B, il Lecce si salvò. Il portiere Gillet, oggi al Bologna, l’anno scorso al Bari, ha spiegato che gli ultras della sua squadra lo minacciavano perché prendesse gol e facesse perdere la squadra. Gillet resistette, dice. Gli ultras gli spiegarono: «Tu vivi a Bari, non si sa mai che cosa può succedere». I capi della curva, quindi, che fanno capo alla criminalità organizzata, si muovevano con determinazione per far perdere la loro squadra.
Che gente della criminalità organizzata sia infiltrata nei gruppi ultras più importanti d’Italia (quelli più numerosi, e quindi più remunerativi) è un dato di fatto. È ormai consolidato da tempo anche il rapporto di parecchi calciatori con esponenti del mondo ultras. Il contatto a quel punto è inevitabile. A Milano non troppo tempo fa giocatori di Inter e Milan si misero in società con capi ultras per commercializzare magliette e aprire locali. Niente di illegale, certo. Solo questione di soldi. In un libro scritto da un giornalista della Gazzetta dello sport, Giorgio Specchia, “Il teppista“, si racconta (è un po’ romanzo ma molta verità) di come capi ultras a Milano accompagnino parecchi giocatori in giro per locali. Tra escort e movimenti di cocaina. Tornando indietro nel tempo basta ricordare i rapporti tra Maradona e i fratelli Giuliano, esponenti della camorra, con tanto di fotografia in una “elegantissima” vasca da bagno a forma di ostrica. A febbraio, a Napoli, sono stati arrestati 11 capi ultras con l’accusa di associazione a delinquere. È venuto fuori che Fabiano Santacroce, che ora è al Parma, era molto amico di un capo ultras: andava a casa sua anche quando il boss-tifoso era agli arresti domiciliari per spaccio di droga. Nel corso della stessa inchiesta Ezequiel Lavezzi parlò della sua conoscenza con il figlio di un capo clan, ora collaboratore di giustizia. Hanno detto i magistrati napoletani: «Alcuni calciatori del Napoli mantengono contatti con gruppi ultras anche perché ritengono che questi ultimi possano influire sulle scelte della società al momento del rinnovo del contratto». È ovvio che se gli ultras aiutano il giocatore per il rinnovo del contratto poi il giocatore in qualche modo dovrà aiutare gli ultras.
Sono casi limite, forse. Ma la promiscuità esiste eccome. Difficile che un giocatore possa rifiutarsi di andare a una festa di ultras oppure a fare la comparsata in curva (ricordate Zarate che fa il saluto romano tra gli Irriducibili della Lazio senza capire minimamente che cosa stia succedendo; oppure Buffon con la maglietta Boia chi molla, slogan sentito in curva e di cui ignora l’origine?). Ma anche i dirigenti delle società, spesso sotto ricatto (è accaduto al Milan) si ritrovano poi fianco a fianco con i capi ultras durante feste natalizie o di fine campionato.
C’è un filmato esemplare, girato nel campo di allenamento del Piacenza.
Un capo ultras minaccia i giocatori senza che nessuno intervenga. Chi l’ha fatto entrare nel campo di allenamento? Poco prima lo stesso tizio aveva minacciato anche un dirigente.
Tornando all’inchiesta sul calcioscommesse, era impensabile che la criminalità organizzata, una volta entrata nel mondo ultras, non sfruttasse l’occasione per fare soldi a palate con le scommesse. Convincere, cone le buone o con le cattive, alcuni giocatori, non deve essere stata la cosa più difficile. Non è moralismo dire che ognuno deve stare al suo posto. Giocatori e dirigenti con gli ultras non dovrebbero nulla a che fare. Meno che meno con gli ultras esponenti di gruppi criminali che, ripeto, sono tanti, sempre di più.
E pensare che tanti ragazzini vanno in curva con il mito degli ultras, della loro “mentalità”, come amano dire. Ragazzini che pensano ancora di poter influire, con il loro tifo, su una vittoria o su una sconfitta. Invece stiamo capendo che a decidere di vittorie e sconfitte sono troppo spesso i soldi, solo i soldi.