Quelli della Uno bianca
Marino Occhipinti ha ottenuto la semilibertà. Era uno dei poliziotti della Uno bianca, ha una condanna all’ergastolo per associazione a delinquere, omicidio volontario e rapine. Fu lui, il 19 febbraio 1988, davanti alla Coop di Casalecchio di Reno, a uccidere la guardia giurata Carlo Beccari. Aveva già usufruito di un permesso nel 2010 per partecipare a una via crucis organizzata da Comunione e Liberazione. Il tribunale di Venezia ha motivato la decisione «in considerazione dell’eccezionalità del percorso di recupero sinceramente intrapreso e dell’autentica rivisitazione critica della propria parentesi criminale».
La notizia della concessione della semilibertà a Occhipinti arriva cinque giorni dopo l’anniversario di una delle azioni più feroci che i poliziotti-criminali della Uno bianca portarono a termine. Era la notte del 4 gennaio 1991 quando tre carabinieri (Andrea Moneta, Mauro Mitilini e Otello Stefanini) vennero massacrati durante un pattugliamento nel quartiere bolognese del Pilastro. A sparare furono loro, quelli della Uno bianca. L’auto dei carabinieri li sorpassò lentamente, i banditi a bordo pensarono a un controllo e iniziarono a sparare. Mitilini l’autista, fu ferito per primo, l’auto dei militari andò a sbattere contro i cassonetti della spazzatura. Gli altri due carabinieri scesero dall’auto, furono falciati da una potenza di fuoco spaventosa. Prima di andarsene quelli della Uno Bianca presero il foglio di servizio dei carabinieri, lo fecero sparire. Era da anni che in Italia non si vedeva un agguato del genere, sembrò un’azione terroristica, arrivarono rivendicazioni a nome di una fantomatica Falange Armata. A uccidere era stati quei poliziotti (lo erano quasi tutti) che, alla fine degli anni ottanta fino ai primi novanta, andarono in giro per l’Emilia Romagna, con puntate anche in altre zone, a rapinare e uccidere. Ammazzarono 27 persone, ne ferirono oltre un centinaio, compirono 100 azioni criminali. Uccidevano per rubare, ma anche per razzismo, per uno sguardo sbagliato o semplicemente per il gusto di farlo. Utilizzavano per le loro azioni Uno bianche, le auto più comuni. Poi le bruciavano.
Avevano iniziato nel 1987, con colpi ai caselli autostradali. Uccisero benzinai e guardie giurate durante alcune rapine, il 20 aprile del 1988 avevano già ammazzato a freddo due carabinieri che aveva fermato la Uno bianca per un controllo. Il 6 ottobre del 1990 uccisero un passante che stava cercando di annotare il loro numero di targa durante una rapina, il 23 dicembre di quell’anno si avvicinarono a un campo nomadi e spararono contro una roulotte uccidendo due persone, cinque giorni dopo a Bologna uccisero prima un commerciante durante una rapina a Castelmaggiore poi, qualche ora dopo, a Trebbo di Reno, ammazzarono un passante che si era avvicinato troppo alla loro auto.
Erano bestie, continuarono a uccidere per anni. Nel 1991, il 28 agosto, a San Mauro Mare, uccisero due operai senegalesi e ne ferirono gravemente un terzo. Non fu durante una rapina, erano neri, per quello spararono. Furono due poliziotti, Baglioni e Costanza, a intuire che quelli della Uno Bianca potessero essere come loro, poliziotti. Seguirono le tracce per mesi, spesso scontrandosi con forti scetticismi. Alle fine vennero arrestati tutti. Erano Roberto Savi, poliziotto a Bologna, suo fratello Fabio, unico a non essere in polizia, un altro fratello, Alberto, poliziotto a Rimini, Pietro Gugliotta, poliziotto, operatore radio a Bologna, Marino Occhipinti, poliziotto a Bologna, Luca Vallicelli, poliziotto a Cesena. I tre fratelli Savio furono condannati all’ergastolo, così come Occhipinti. Gugliotta ha avuto 18 anni, Vallicelli, il cui ruolo era minore, ha preso tre anni e otto mesi. C’era anche una donna, Eva Mikula, fidanzata di Fabio Savi. Fu lei a raccontare tutto e a incastrare la banda.
Nel 2006 Roberto Savi, fondatore della banda, ha presentato domanda di grazia. L’ha ritirata dopo il parere sfavorevole del procuratore generale di Bologna.