Storia di una foto

Il 28 maggio è l’anniversario dell’assassinio di Walter Tobagi: era il 1980 quando lo uccisero. L’hanno commemorato al Corriere della sera, sotto la lapide che lo ricorda, in via Salaino, a Milano, sono stati messi i fiori. C’è un’altra data che in qualche modo è collegata a quel giorno, è un altro anniversario che cade di maggio: il giorno è il 14, l’anno è il 1977. C’è un libro, uscito da poco, che ricorda quello che successe quel giorno in via De Amicis, a Milano. Si intitola “Storia di una foto”, è a cura di Sergio Bianchi per Derive Approdi. La foto è una delle più famose nella storia degli ultimi 50 anni italiani: una figura coperta da un passamontagna che si flette sulle gambe, le braccia sono tese in avanti, una pistola spara. Sullo sfondo un uomo fotografa, qualcuno scappa, altri passamontagna. È la foto simbolo del 1977. Ma quel libro non è la storia di una sola foto, è la storia di tante foto, di tante sequenze che raccontano momenti al termine dei quali una vita sarà cancellata, altre vite si perderanno in tanti rivoli. È la storia di due minuti, a partire dalle 15.37 di un pomeriggio di maggio, nel centro di Milano, in via De Amicis. In quelle foto ci sono figure che oggi hanno nomi e quei nomi sono rotolati poi in altre storie fino al 28 maggio 1980 e poi più avanti ancora.

Il 12 maggio, a Roma, durante una manifestazione indetta dai radicali per ricordare la vittoria del referendum sul divorzio, era stata uccisa Giorgiana Masi. Anche a ricordare quel giorno c’è una foto: è quella di un poliziotto in borghese, vestito come un manifestante qualsiasi, con la pistola in pugno.

La sera del 13 maggio a Milano ci fu una riunione dei rappresentanti di quello che venne poi definito il movimento del ’77. Bisognava organizzare un corteo per l’uccisione di Giorgiana Masi e che protestasse contro l’arresto di due avvocati di Soccorso Rosso, Nanni Cappelli e Sergio Spazzali. Si discusse, la maggioranza decise che il giorno dopo non avrebbe dovuto accadere nulla. Non tutti erano d’accordo. Un mese prima, il 12 marzo, alcuni spezzoni di un corteo avevano assaltato la sede dell’Assolombarda, in via Pantano: i magistrati accertarono contro il palazzo degli industriali furono sparati colpi da 300 armi diverse.

Le immagini di “Storia di una foto” raccontano quello che accadde il 14 maggio. C’è la trascrizione di una registrazione radiofonica. Il corteo arriva da via Olona, gira verso via Carducci. Si sente qualcuno che urla «Romana fuori». È il collettivo Romana-Vittoria, sono quelli che hanno deciso di attaccare la polizia. Sono una quarantina, escono dal corteo, corrono in via De Amicis, la polizia è quasi all’incrocio con via Ausonio. Saltano fuori le pistole, i manifestanti si muovono sui due lati di via De Amicis, dietro gli alberi a sinistra, a destra superano il numero civico 59, sparano in tanti. Quello nella foto più famosa è Giuseppe Memeo, gli amici lo chiamano “terrone” perché ha un accento meridionale forte, che non si cancella. Nel 1979 entrerà nei Pac, i proletari armati per il comunismo, quelli di Cesare Battisti. Memeo parteciperà all’assassinio del gioielliere Torregiani. Dal Brasile Battisti, un paio di anni fa, ha scritto una letera ai giornalisti scaridando tutte le colpe di quell’omicidio su Memeo e su altri. Memeo rispose: «Per quei fatti ho pagato, non ho barattato la mia libertà con quella di altri».

Nelle fotografie ci sono Walter Grecchi, Massimo Sandrini e Maurizio Azzolini: erano studenti dell’Istituto Cattaneo di piazza Vetra, li arrestarono qualche mese dopo, durante una lezione in classe. Sparavano Mario Ferrandi, Enrico Pasini Gatti, Giancarlo De Silvestri, Luca Colombo. In una sequenza di immagini, Memeo corre verso la fotografa Paola Saracini, le punta la pistola alla testa, la fa inginocchiare e si fa consegnare il rullino. Ma altri stanno fotografando, nascosti dietro gli alberi. Un manifestante spara contro un fotografo, il proiettile si conficca nel muro. Un passante, Maurizio Golinelli, viene ferito da un colpo a un occhio. Un’altra passante, Patrizia Roveri, è colpita da un pallino di fucile. Due agenti sono feriti, un altro, Antonio Custrà, è a terra, un proiettile calibro 7,65 ha perforato la visiera protettiva e gli si è conficcato in faccia. Morirà il giorno dopo.

Raccontano che i poliziotti della caserma Sant’Ambrogio, poco distante da via De Amicis, nella notte tra 14 e 15 maggio volessero uscire per farsi giustizia, esasperati e colmi di rabbia. La situazione fu gestita con fatica.

Il giudice Guido Salvini stabilì, anni dopo, che a sparare il colpo di 7,65 che uccise Custrà fu Mario Ferrandi.

La figlia di Custrà, Antonia, due anni fa ha voluto incontrarlo, sono andati insieme in via De Amicis. Ferrandi raccontò tutto, senza reticenze: «La verità giudiziaria dice che fui io a uccidere tuo papà. Non lo vidi cadere, non vidi nulla. Mi assumo tutta la responsabilità di ciò che accadde quel giorno». Lei disse: «Sono qui per mettere una lapide sul mio passato, per fare il funerale a mio papà». Antonia non era nata quando morì suo padre, la mamma era incinta di otto mesi.

C’è una fotografia ripresa pochi minuti dopo la sparatoria in via Carducci. Scappando, i manifestanti hanno dato fuoco al Pantea, una discoteca allora piuttosto famosa. C’è un ragazzo che corre, un altro, con un berrettino in testa, cammina tranquillo. È Marco Barbone, la sua è una ritirata calma e arrogante. Nella mano destra ha un fucile con il manico segato. È stato suo probabilmente il colpo che ferito a un occhio Maurizio Golinelli. Barbone compare anche in altre fotografie, sul lato sinistro di via De Amicis.

Due anni dopo Barbone fondò a Milano la Brigata XXVIII marzo: con Paolo Morandini, Daniele Laus, Manfredi De Stefano, Francesco Giordano e Lugi Marano, il 28 maggio 1980 uccise Walter Tobagi. La storia è nota: Barbone fu arrestato nell’ottobre del 1980, si pentì e collaborò con i magistrati. Vene condannato a otto anni e sei mesi ma in base alla legge sui pentiti venne scarcerato. Oggi lavora per la Compagnia delle Opere, legata a Comunione e Liberazione.

Benedetta Tobagi, la figlia di Walter, ha scritto un libro bellissimo sulla sua storia e su quella di suo padre, “Come mi batte forte il tuo cuore”. Quando suo papà fu ucciso aveva tre anni.

Non c’entra niente, ma oggi l’ho incontrata a Milano: era in bicicletta, sorrideva, sul manubrio aveva legato un palloncino arancione.

Stefano Nazzi

Stefano Nazzi fa il giornalista.