Assassini in un dito
Mancano una ventina di giorni all’inizio del processo d’appello a Perugia per l’omicidio di Meredith Kercher. E già inizia la caccia grossa dei giornali. Addirittura sulla Stampa si legge “Nei disegni di Amanda la prova che è una criminale”. Il quotidiano di Torino ha ripreso l’articolo, come hanno fatto altri giornali italiani, dall’inglese The Sun. Sono stati analizzati alcuni disegni pubblicati nel libro Io vengo con te. Colloqui in carcere con Amanda Knox, scritto dal deputato del Pdl Rocco Girlanda. Che cosa si capisce dall’analisi dei disegni? Cito testualmente: “L’uso di colori molto brillanti suggerisce che la ragazza non è a suo agio con se stessa”. Lo spiega una psichiatra inglese, Jane Firbank. Ma davvero? Davvero, davvero? C’è qualcuno che in carcere vive “a suo agio con se stesso”? Poi la psichiatra analizza le mani disegnate da Amanda: “Il fatto che il terzo dito sia più lungo degli altri indica un elevato livello di testosterone. Ciò può portare ad essere una persona aggressiva in grado di dominare gli altri”.
Ci credete? Ci credete che i giornali riportino queste cose?
I fatti sono questi: Amanda Knox stata condannata a 26 anni di carcere per l’omicidio di Meredith Kercher, Raffaele Sollecito a 25. Entrambi dicono di essere innocenti. Il processo d’appello è l’occasione per analizzare prove e test, per ripercorrere la storia fin all’inizio. Il resto sono chiacchiere e, come direbbe qualcuno, le chiacchiere stanno a zero. Il fatto però è che in questa brutta storia le chiacchiere hanno invece fatto molto. Ve li ricordate i titoli tre anni fa sui “fidanzatini diabolici?”, sull’Amanda “mangiauomini?” su “Raffaele succube”? E tutti quei discorsi sul fatto che Amanda postasse le sue fotografie su Facebook, e così anche Raffaele? Insomma, tutti quei discorsi sul fatto che Amanda e Raffaele fossero esattamente come milioni di altri studenti nel mondo? In tre anni poi si è corsi dietro a qualsiasi notizia, semi-notizia, non notizia. Qualche settimana fa è anche stato detto che Amanda e Raffaele avrebbero avuto il permesso di incontrarsi in carcere. Era una balla, ovvio.
Personalmente ho avuto sempre molti dubbi sul fatto che Amanda Knox e Rafaele Sollecito siano colpevoli. Anzi, credo che siano innocenti. Ma mi attengo a ciò che viene fuori dal processo e dalle indagini, dai test e dagli interrogatori. Invece da tre anni si parla di tutt’altro. Diciamo la verità: i giornali avevano individuato i colpevoli prima di qualsiasi verdetto. Amanda e Raffaele erano fatti a forma di colpevoli: carini, lei disinibita, americana per giunta, avevano addirittura fumato qualche spinello. Quindi, “diabolici”.
Funziona così, putroppo. E lo stiamo vedendo anche ad Avetrana: la storia è già scritta, c’è una mente diabolica dietro la morte di Sarah Scazzi ed è quella di Sabrina Misseri. Il resto non conta più, conta solo quello che dicono gli ospiti di Milo Infante o di Bruno Vespa.
Un quotidiano romano, Il Messaggero, con un editoriale pubblicato due giorni fa, si lamentava del fatto che si sia sempre parlato molto di Amanda Knox e pochisimo della vittima, Meredith Kercher. È proprio questo il punto. Ma la colpa è di chi è in carcere o di chi si fa prendere da curiosità morbose sul numero di fidanzati avuti da Amanda (purtroppo giornalisti italiani sono andati fino a Seattle per scoprire a che età Amanda avesse fatto la prima volta l’amore)? Un altro quotidiano titolava: “Intanto Amanda in carcere canta”. Ma potrà cantare in un coro oppure no? Che rilevanza ha? E perché tu giornalista lo scrivi con quell’ammiccamento indignato? Grazie al cielo in carcere si svolgono anche attività e ci sono bravi volontari che si danno da fare.
Gli avvocati di Amanda Knox e di Raffaele Solecito si stanno battendo da tre anni perché si torni al punto, ai fatti. Fanno una fatica enorme a lasciare fuori pettegolezi e morbosità. Lo vogliono in fondo anche i genitori di Meredith Kercher che dicono “Si parla troppo di Amanda”.
Sono passati tre anni, una ragazza è morta assassinata, due ragazzi sono in carcere condannati a 26 e 25 anni, un altro, Rudy Guede, di anni ne dovrà scontare 16. Ora si inizia di nuovo, parte il processo d’appello. Per favore, che la compagnia di giro resti ferma, che il modellino della casa di via della Pergola, a Perugia, rimanga nei magazzini di Porta e Porta, che chi parla sappia almeno a grandi linee che cosa è accaduto in questi anni di indagini. Le chiacchiere stanno a zero.