Cosa ha fatto Renzi
Per giorni li avete sentiti in tv e li avete letti sui giornali. Quelli che Berlusconi resuscitato, Berlusconi dà le carte, Berlusconi ricatta, Berlusconi tiene Renzi per la gola, Berlusconi avrà il suo garante al Quirinale. Ovvero: il racconto della politica italiana degli ultimi dodici mesi come la trama oscura rinchiusa nelle clausole segrete del patto del Nazareno, coronata dell’elezione di un capo dello stato funzionale alla diarchia che tiene l’Italia sotto il tallone.
Naturalmente non va così. Perché la diarchia vive fin dall’inizio solo nella paranoia di alcuni, mentre casomai il paese ora pare retto da un regime monarchico costituzionale, che non sarà il massimo ma è un sistema differente.
Ed ecco il risultato, da perfezionare nel segreto delle cabine dunque ancora incompleto: un ampio ricompattamento del Pd – anzi, del centrosinistra – intorno a un candidato contemporaneamente di ferree convinzioni riformiste (sulle istituzioni e non solo) ma non ascrivibile in alcun modo al patto del Nazareno. Ogni volta che Renzi ne parla, in queste ore, non si astiene dal ricordare passaggi della carriera di Mattarella urticanti per la destra, a cominciare dalle famose dimissioni ministeriali in chiave anti-Fininvest. Insomma affonda la lama nella ferita dell’imbarazzo e delle divisioni di Forza Italia, come se volesse provocarne l’umiliazione o l’allontanamento.
Perché tutto questo? Forse perché il premier ha deciso che preferisce governare e riformare l’Italia con Vendola e con i dissidenti grillini invece che con Alfano?
Calma. Un racconto della politica che nel giro di ventiquattr’ore precipiti l’Italia dalla trama para-massonica a una coalizione simil-Syriza può andar bene per il cinema ma non ha alcun fondamento.
In primo luogo la vicenda Quirinale non è finita, ed è in evidente evoluzione il ruolo che vi svolgeranno alla fine i vari Casini, Alfano, Fitto, e forse lo stesso Berlusconi smaltita la rabbia: è del tutto improbabile che solo per “colpa” di Mattarella gente che ora sta al governo ne esca (e nell’NCD si sono affrettati a spiegarlo), e che chi ha scritto con Renzi Italicum e riforme costituzionali abbandoni un tavolo così importante. In queste ore è in corso un poderoso lavoro di recupero da parte del Pd, che non metterà minimamente in discussione la scelta per il Quirinale ma investirà altri campi. Di governo, di alleanze locali eccetera.
Secondo: Renzi è noto per essere uno che gioca una partita per volta, con agilità e rapidità di svolte e perfino di inversioni di rotta. Sul Quirinale, adesso, la sua priorità era cancellare il precedente dei 101 e portare tutto il Pd su un candidato “di famiglia” con una bella storia da presentare al paese: il giorno dopo che questo risultato sarà stato conseguito (e pareva impensabile appena una settimana fa), la palla tornerà al centro e si ricomincerà a giocare. Con lo stesso Renzi di prima, non trasfigurato nel frattempo in Alexis Tsipras.
Terzo: se in questi giorni dovesse davvero vincere l’attuale presidente del consiglio e segretario del partito di maggioranza, è più probabile che il quadro politico si stabilizzi oppure che venga terremotato, come prevedono oggi gli stessi che ieri descrivevano il paese sotto il tallone del patto del Nazareno? Finché Renzi rimarrà alla guida, sarà lui a decidere se e come chiudere l’attuale stagione politica e la legislatura. Né Alfano, né Berlusconi.
Quarto: ogni discorso fatto oggi non considera l’impatto della eventuale apparizione sulla scena nazionale di una personalità fin qui poco conosciuta come Sergio Mattarella. Che ha proprio nel suo carattere e nel suo modo di presentarsi qualità che potrebbero incidere negli orientamenti dell’opinione pubblica. E consigliare prudenza – se non addirittura allineamento – a chi oggi si rifiuta di votarlo. Come del resto andò con Giorgio Napolitano nel 2006. Un comunista, addirittura.