Quant’è difficile fare vera politica
Il Pd fa il suo mestiere, punta all’obiettivo vicino del primo voto sulla riforma del senato, lavora sulle difficoltà degli avversari (non molti) che continuano a frapporsi tra Renzi e il suo primo importante obiettivo. Il nuovo gruppo dirigente democratico è stato sottovalutato: si pensava che si sarebbe perduto nei meandri ostili degli iter parlamentari, e in effetti inciampi e ingenuità ce ne sono stati. Ma la lezione è stata appresa in fretta, e grazie soprattutto alla benzina del voto europeo la conduzione tattica appare oggi efficace.
Il che ingigantisce il problema ormai evidente dei Cinquestelle. In fondo, Luigi Di Maio, su mandato di Grillo e Casaleggio, sta cercando di fare esattamente ciò che al M5S era stato chiesto fin dall’anno scorso. Una sorta di costituzionalizzazione del movimento. Una sua normalizzazione, o quanto meno l’adeguamento ai meccanismi e alle logiche del confronto parlamentare, dopo gli
esordi tempestosi dello scardinamento del Palazzo dall’interno.
Tutti, amici e avversari, avevano invitato i Cinquestelle a rendersi utili accettando questo piano della lotta politica. Ora però la svolta resasi indispensabile dopo la sconfitta europea sta esigendo il suo prezzo. Fissare incontri con gli altri partiti, entrare nel dettaglio delle proposte, cercare alleanze trasversali, proporre scambi, tentare operazioni difficili come il disinnesco del patto del Nazareno: sono mosse che richiedono manovratori abili, espongono M5S a rischi e critiche, in qualche modo li consegnano alla malizia tattica degli avversari. Grillo a pelle avverte benissimo il pericolo, di qui la sfuriata di ieri. Qualcosa di analogo, in peggio, accade a Strasburgo, dove il blocco anti-Farage allestito dagli altri gruppi ha sottratto ai grillini postazioni europarlamentari meritate e in qualche modo dovute: severa nemesi, per una volta che Grillo aveva rinunciato all’isolazionismo delle origini.
La verità è che, nel loro estremismo utopico, avevano ragione i fondatori: appena entra nelle logiche ordinarie, il movimento ne esce malconcio. Gli stessi Grillo e Casaleggio hanno però dovuto prendere atto che dopo il 25 maggio non esiste strada alternativa, per quante pulsioni di rottura possano agitare il corpo del ceto politico grillino. Vedremo fino a che punto il Pd vorrà affondare il coltello in questa contraddizione, o se prima o poi deciderà di approfittarne.