Israele e Palestina, torna solo l’odio
Se qualcosa può andare male tra israeliani e palestinesi, andrà male. Se non peggio. E non è difficile oggi immaginare che cosa possa esserci di peggio dell’esecuzione a sangue freddo di tre adolescenti rapiti mentre tornavano da scuola.
Negli ultimi giorni, dopo che i ragazzi israeliani erano sicuramente già stati uccisi, quattro loro coetanei palestinesi hanno perso la vita negli scontri con Tsahal. Quando questo articolo sarà stato pubblicato, il numero delle vittime sarà senza dubbio più alto: l’esercito di Gerusalemme si farà duro interprete del dolore, della rabbia e della delusione di un popolo che per 18 giorni ha sperato, portando in tutto il mondo l’angosciato appello nato nella rete #bringourboysback.
Alla spirale di sangue si accompagnerà la spirale politica, con la fine largamente anticipata dell’ennesimo tentativo di composizione del conflitto.
Ha gioco facile chi vuole soffocare ogni sussurro di pace. L’accordo di governo tra Abu Mazen e Hamas sembrava promettere il rientro nel confronto diplomatico del partito che domina a Gaza, come avevano colto gli americani e anche la negoziatrice Tzipi Livni: una sola raffica di una squadra estremista basta a riportare tutto al grado zero. Netanyahu si cala nell’eterna parte di falco, con Hamas si annuncia una resa dei conti che si vorrebbe definitiva ma che naturalmente, per quanto pesante, definitiva non sarà mai.
La previsione amara è che il più classico dei conflitti mediorientali, il conflitto originario, sta per riprendersi la scena lasciata per un po’ alla Siria, all’Egitto, alla Libia. Non tornano tre ragazzi vivi, torna solo il tempo della guerra e dell’odio.