Renzi allunga il passo
Mille giorni. Tre anni. Fino al maggio 2017. Il premier che ama i cronoprogrammi ne ha tirato fuori un altro. Stavolta però non si tratta di una guerra lampo, una frenetica rincorsa per rispettare scadenze sovrapposte le une alle altre. L’impressione è che una prima fase – un po’ eroica, un po’ velleitaria, comunque di impatto – sia finita. Non c’è più bisogno di bruciare i tempi, e con essi avversari e ostacoli. Ora l’immagine da trasmettere, all’interno e all’estero, è quella di un governo rafforzato e rinfrancato che allunga il passo e fissa obiettivi di lungo periodo: più seri, ambiziosi, ragionati. Si abbassa il tasso di propaganda, ci si propone solidi e affidabili.
Il risvolto nazionale è evidente. Anche se nella politica italiana i traumi sono sempre possibili, svanisce l’ipotesi (che era rimasta presente) di elezioni anticipate necessarie a consegnare a Renzi una maggioranza sua, diversa da quella incerta ereditata dalle elezioni del febbraio 2013 e dalle larghe intese di Letta. Evidentemente l’effetto calamita del Pd (e nel Pd) in parlamento è talmente forte da fugare le paure di agguati. Anzi, in questi giorni Renzi scopre l’utilità di avere all’opposizione due poli equivalenti, con i quali giocare nella partita delle riforme: in caso di elezioni anticipate, almeno il polo di centrodestra rischierebbe di svuotarsi troppo e il gioco finirebbe.
La stabilità di governo è anche un potente asset da far valere in Europa. Paradossalmente, in questo momento l’Italia può considerarsi tra i paesi più stabili dell’Unione. L’impegno a realizzare le riforme promesse non si appoggia più su acrobatici artifici verbali, bensì su una maggioranza e su un programma che possono avere dei critici ma non hanno alternative.
È presto per verificare se le aperture di Angela Merkel su politiche di bilancio di maggiore flessibilità si tradurranno in realtà. Molto dipenderà dal ciclo economico, dalle mosse che Mario Draghi potrà consentirsi e dai rapporti di forza con i quali si uscirà dalla lunga transizione del potere europeo, fino al novembre prossimo.
Renzi ottiene ciò che prima di lui avevano chiesto Berlusconi, Monti, Letta. È la controprova che in Europa non serve alzare la voce, fare gli offesi o i sarcastici, minacciare. E neanche è risolutivo puntare sull’appartenenza a un ceto consolidato. L’unica via è conquistare un ampio consenso popolare su precisi obiettivi di cambiamento, battendo sul campo le forze dello scetticismo.