La candidatura di Giovanni Fiandaca alle europee
Per una cerchia di addetti ai lavori, la candidatura di Giovanni Fiandaca nelle liste europee del Pd ha il significato forte di un capovolgimento di paradigma, che va trasmesso a un pubblico ampio.
I titoli accademici e professionali aiutano solo a definire il livello della persona: uno dei maggiori studiosi italiani di diritto penale, ex membro laico del Csm, presidente di commissioni per la riforma delle leggi antimafia.
Per il pensiero politico ci facciamo aiutare dall’antipatizzante Antonio Ingroia: «Fiandaca è uno dei principali giustificazionisti della trattativa stato-mafia (…) [candidandolo si punta a] oscurare ancora una volta, con atti politicamente discutibili e mediaticamente rilevanti, la verità sulla stagione dei patti osceni con la mafia di una classe politica che occupa ancora ruoli di rilievo nelle istituzioni».
Capito? Per l’ex pm di Palermo, bocciato come magistrato dall’esito delle sue inchieste e come politico dall’avventura elettorale del 2013, ora riciclato nei ruoli burocratici della Regione Sicilia, la candidatura di Fiandaca è un segnale complice alla mafia da parte di una politica amica, un favore fatto ai registi dei «patti osceni» tra i quali Ingroia non ha il coraggio di citare per nome e cognome il presidente della repubblica, pur alludendovi chiaramente («ruoli di rilievo nelle istituzioni»).
Ecco perché la scelta di Matteo Renzi sulle liste siciliane è forse uno dei suoi gesti più forti da segretario del Pd. Perché segna la rottura definitiva tra la sinistra e il cotè politico-giornalistico-giudiziario che prospera sulle più indimostrate teorie complottarde applicate a ogni passaggio della storia italiana, mischiando e confondendo verità giudiziarie, anatemi morali e ambizioni politiche. È una sfida a qualcosa di più grande di un gruppo o di una cordata. S’è finalmente deciso di contrastare apertamente un modo di pensare che a sinistra s’è radicato negli anni, causando un grave impoverimento culturale, e che Fiandaca descrive come «la propensione quasi compulsiva a identificare il diritto e la giustizia solo con l’accusa e la condanna, e a reagire con sospetto e indignazione di fronte a eventuali archiviazioni o assoluzioni (…) la scarsa attitudine a comprendere e interiorizzare il valore irrinunciabile, per uno Stato di diritto, del garantismo penale».
Ecco che cosa significa, ben oltre la Sicilia e le contese sui processi di Palermo, la candidatura di Fiandaca.