La riforma dell’esecutivo non è una novità
Può darsi che l’agenda delle riforme si stia inzeppando troppo, oltre le possibilità di Renzi di raggiungere gli obiettivi e la disponibilità del parlamento ad assecondarli. Può anche darsi che stia venendo meno la tenuta della sponda essenziale per il disegno istituzionale, cioè Forza Italia: un partito in via di sostanziale autoscioglimento, dai cui umori interni può scaturire qualsiasi sorpresa.
Insomma, sui temi istituzionali come sul resto rimane l’incognita di un quadro politico friabile, che s’è affidato a Matteo Renzi per istinto di autoconservazione più che per convinzione e condivisione piena del programma. Detto questo, va fermata sul nascere l’onda di indignazione intorno all’ultimo pezzo della riforma costituzionale, per come si va delineando: il rafforzamento dei poteri del presidente del consiglio rispetto ai ministri e la definizione di una corsia parlamentare rapida per alcuni disegni di legge del governo.
Già si sente parlare di presidenzialismo di fatto, riappare il fantasma della P2, ci si straccia le vesti in nome del parlamento umiliato. Come se il parlamento non si fosse già abbastanza umiliato da solo, e da diversi anni.
In realtà, da chiunque venga adesso la proposta, di rafforzamento dei poteri del premier e dell’esecutivo si discetta senza scandalo (e senza costrutto) da decenni. Renzi andava alle elementari e Berlusconi si occupava di ripetitori tv, quando nell’84 la commissione Bozzi provava a mettere insieme un bicameralismo meno assurdo, maggiore velocità degli iter legislativi, minor numero di parlamentari e maggiore efficacia dell’azione di governo. La storia delle bicamerali che da allora sono tornate inutilmente a insistere sugli stessi concetti è nota. E nel 2014 solo in malafede si potrebbe negare che queste ipotesi possono correre liberamente e legittimamente a sinistra come a destra, con una propensione positiva maggioritaria nel paese.
Ci si spaventa quando sono premier “decisionisti” a chiedere un potere maggiore a quello di primus inter pares? Sicuramente tipi come Berlusconi e Renzi soffrono più di altri della ruggine del sistema. Ma converrebbe a tutti, anzi ai parlamentaristi più che a chiunque altro, sottrarre a questi governanti impazienti lo scudo dietro al quale riescono a nascondere lentezze e fallimenti: l’inefficienza del processo politico. Un argomento insidioso perché vero. Un ostacolo alla trasparenza e al potere del cittadino di farsi un’opinione. In ultima istanza, un vulnus alla democrazia reale, concreto e attuale, non fantomatico.