La battaglia negata
Partiti e partitini giocano le proprie carte e, come sempre nel pieno delle consultazioni, fanno facce arcigne, marcano più le distanze che le prossimità. La stampa mainstream, fino all’altroieri inclemente con Letta, ora si mostra infastidita dal modo del cambio in corsa a palazzo Chigi. Nei confronti di Renzi è tutto un aggrottare sopracciglia, porre condizioni, scuotere il capo. La minoranza del Pd ci ripensa ogni mezza giornata e quindi, strattonata da Bersani che si riaffaccia sulla scena, torna a esprimere disagio per la soluzione della crisi.
Insomma, il primo giorno dell’Era Renzi, come titolava ieri Europa, non è un letto di rose. Non che l’interessato – ieri tornato per l’ultimo giorno sindaco, con un certo visibile sollievo personale – si aspettasse nulla di diverso. Sa bene di dover camminare, anzi correre, controvento.
E il suo mondo? Dove sono, che cosa pensano e come si esprimono gli entusiasti della Leopolda, la base attiva delle primarie renziane che solo pochi mesi fa s’era ingrossata fino a farsi esercito, conquistare di slancio il Pd, prepararsi per ogni ulteriore ingaggio?
Qui a Europa, nel nostro piccolo, pensiamo possa essere utile lavorare sui dubbi di questo mondo, e sul modo migliore di scioglierli. Perché è vero, molti sono convinti che in Italia una rivoluzione sia possibile solo calata dall’alto. Ma noi sappiamo, da tempo, che a palazzo Chigi ci sono meno bottoni di comando che in qualsiasi municipio d’Italia. E che dunque la possibilità di cambiare in concreto le cose è una difficile risultante di leadership personale, qualità della squadra politica e amministrativa, sostegno di gruppi di potere e però anche coinvolgimento non diciamo popolare, ma almeno diffuso, democratico.
Questa arma, che era la più forte in mano a Renzi fino a pochi giorni fa, ora è scarica.
Se è vero che in questi giorni s’è consumato un tradimento, non è ai danni di Letta bensì dei tanti che pensavano l’adesione al progetto di Renzi come una chiamata a una grande avventura collettiva, una conquista del potere di decisione finora negato nella quale ognuno sarebbe stato chiamato a fare una parte, e ognuno poi avrebbe avuto una parte. Poteva essere la battaglia della vita di una generazione anagrafica, oppure degli esclusi, dei delusi, dei giovanissimi. Comunque, di un popolo. Il popolo di Renzi, diventato il popolo delle primarie. Invece si ritrovano tutti, ci ritroviamo tutti, spettatori della battaglia di uno solo, accompagnato più per calcolo che per passione dal gruppo dirigente del suo partito.
Intendiamoci, quella speranza di palingenesi collettiva conteneva tanta ingenuità, il modo naif di concepire la partecipazione che ha fatto la fortuna delle Leopolde. Renzi sta facendo altro, sta facendo politica con il feroce realismo che la politica vera richiede. In questo senso ha ragione lui, e hanno torto i delusi: c’è un tempo per il sentimento e un tempo per la tecnica. Sono state convincenti le risposte date in direzione sull’inevitabilità della scelta compiuta. E poi il consenso per un leader si misura su scala molto più ampia della sua base militante o simpatizzante: è perfettamente possibile – anzi, probabile – che la sensazione di deprivazione provata dalla gente della Leopolda sia poca cosa rispetto alle aspettative positive della ben più vasta opinione pubblica nazionale.
Lo sapremo presto, lo misureremo presto. Tutti avranno tempo e possibilità di cambiare idea, e Renzi è ampiamente in grado di risvegliare interesse e speranza. Rimane un filo di rimpianto per un appuntamento cancellato, che se anche si ripresenterà non sarà comunque mai più la stessa cosa. Bene che vada, la prossima volta i democratici dovranno battersi per tirare fuori dalle urne un governo Renzi Due. Prospettiva poco romantica, ammetterete. Pazienza, così impariamo.