Napolitano a Strasburgo
Un grande discorso di battaglia politica. I parlamentari di Strasburgo alla fine erano colpiti e ammirati, anche perché non sono abituati a momenti del genere: a capi di stato che si presentano nel loro emiciclo non per lanciare generici appelli ma per scarnificare le ragioni della crisi europea, individuare praticamente con nome e cognome i nemici politici dell’integrazione ma soprattutto le responsabilità dei leader degli Stati, dettare una possibile – l’unica possibile – linea di riscossa. Praticamente un programma elettorale per le elezioni continentali di maggio, solo che non è un programma di parte o di partito ma è potenzialmente di tutti. Di tutti, tranne coloro che vorrebbero la fine dell’Europa, o dell’euro che è la stessa cosa, e che infatti ieri si sono palesati con una contestazione che li ha qualificati.
Volendo fare un filo d’ironia, ma neanche tanto, si potrebbe dire che Giorgio Napolitano ha provato a espandere a livello continentale il ruolo che ormai in Italia gli è abituale. Di garanzia, sì, ma non nel senso della neutralità rispetto al bivio che abbiamo davanti. E che nelle elezioni di maggio si chiama ripresa del percorso di piena integrazione politica, o in alternativa vittoria degli euroscettici e ulteriore dissoluzione di ciò che già appare molto fragile. Nei primi commenti italiani al discorso del capo dello stato si è molto insistito sul suo appello ad abbandonare le politiche di pura e semplice austerità di bilancio, il cui effetto recessivo sull’economia dei paesi e dell’Unione è ormai comprovato, e in nome delle quali l’Italia ha dato già molto se non tutto. L’accento dei commenti è giusto, anche se occorre notare che Napolitano, pur richiamando la necessità di un rilancio dell’intervento pubblico, non ha lasciato alcuno spazio alle velleità (in particolare quelle domestiche, che conosce bene) di ritorno all’epoca della spesa facile.
Il punto veramente forte del discorso di Strasburgo però è stato un altro. Perché non è solo e non tanto di crisi economica che sta deperendo l’Europa. Bensì di assenza di visione, sfrenati egoismi nazionali, prepotenza dell’Unione dei governi su quella del parlamento, crollo delle leadership personali. Per una volta, i nomi di Spinelli, Schuman e Adenauer non sono stati citati in giaculatoria, ma per confronto con i nomi (non citati, ma è come se) degli attuali piccoli capi di governo concentrati sulle proprie agende nazionali, o addirittura elettorali.
Ieri a Strasburgo Napolitano ha tirato fuori quel carisma internazionale che una volta anche Obama gli riconobbe. L’Italia è sfortunatamente uno dei laboratori privilegiati del possibile collasso europeo: tutti coloro che vi lavorano sono schierati, dalla destra berlusconiana alla Lega a Grillo. A loro, ai nemici dell’Europa, il presidente ha riservato le parole dure di uno che non solo non si fa intimidire dall’assedio che subisce in patria, ma contrattacca con veemenza senza uscire dal ruolo. Mentre ha proposto una linea di contrasto a socialisti, popolari e liberali europei, pur senza potersi rivolgersi apertamente a loro (ma le famiglie politiche sono state citate, eccome). Uno dei problemi italiani è che alle elezioni di maggio i primi saranno in campo, dopo la scelta di Matteo Renzi di far entrare il Pd nel Pse. E che purtroppo, a quanto pare, ai democratici toccherà di fare la parte anche dei liberali e dei popolari europei, dei quali ormai non c’è traccia nella mappa politica nazionale.