Un lavoro diverso per la sinistra Pd
È prematuro non solo fare previsioni su cosa sarà del Jobs Act anticipato ieri da Matteo Renzi, ma anche solo valutarne i singoli punti. Alcuni sono enunciazioni di principio, altri sono temi offerti alla discussione, in generale manca qualsiasi impegno sulle coperture finanziarie, che non potranno essere leggere.
Su questo punto, sia detto en passant, si nota nel Nuovo Pd una certa disinvoltura, come se tutto si potesse risolvere con lo sforamento concordato del tetto del 3 per cento tra deficit e Pil: nulla di male, questo non è più il dogma di una volta (anche se Letta non ha la minima intenzione di violarlo), l’importante è sapere che neanche lo sforamento garantisce meraviglie. Domani su Europa – il giornale che dirigo – ricorderemo quanto poco sia stato utile alla Francia ottenere il famoso bonus del 2008: senza politiche efficaci, riaprire il rubinetto del debito non porta crescita ma solo nuovi guai.
Se non dà certezze sulla capacità del Pd renziano di creare nuovo lavoro in Italia, il Jobs Act dice molto sul suo proponente. E moltissimo su tanti equivoci e luoghi comuni spesi prima e durante il congresso democratico: utile lezione per la minoranza di sinistra che cerca di riorganizzarsi.
Alla prova dei fatti, sul tema potenzialmente più divisivo di tutti, le polemiche sul tardo neoliberismo renziano evaporano. Non è solo per rispetto verso il Pd, se Cgil, Cisl e Fiom apprezzano intenzioni, metodo e anche alcuni dei contenuti. Renzi non indulge mai né in ideologismi né in tecnicismi, pragmaticamente mette insieme proposte innovative con un doppio assillo: la centralità di chi oggi è escluso dal mercato del lavoro e dal sostegno alla disoccupazione; l’attacco ai centri nevralgici della conservazione, in questo caso soprattutto la burocrazia pubblica, le corporazioni private e l’opaco strapotere della giustizia amministrativa.
È roba di destra? Di sinistra? Avrebbe spazio chi volesse organizzare un’opposizione “laburista” al segretario, quando alcune sue proposte mirano a introdurre in Italia istituti e strumenti tra i più tipici del laburismo europeo? Matteo Orfini, per esempio, pensa che sarebbe più utile per la sinistra interna stare dentro al processo di definizione di una linea sul lavoro e sulla crescita che sarà poi quella di tutto il Pd alle elezioni, e per diversi anni a venire.
Sembra un atteggiamento razionale. Certo più utile che non rimasticare improbabili propositi di rivincita, sperando in silenzio in qualche scivolone del vincitore del congresso.