Il fallimento delle classi dirigenti
La botta è difficile da assorbire, soprattutto mentre intorno si alza il polverone dei partiti scandalizzati che strepitano per l’italianità offesa.
Sarebbe ingiusto scaricare sul governo Letta, insediato da neanche quattro mesi, la responsabilità del doppio colpo subìto dal paese con la cessione di Telecom agli spagnoli e col previsto e prevedibile (ma ancora non perfezionato) passaggio di Alitalia sotto le ali di Air France: sono due fallimenti nazionali che affondano le radici in scelte politiche del passato, e in errori di gestione dei manager privati. Ma anche se queste verità sono note, tocca amaramente a Enrico Letta di fronteggiare l’ennesima improvvisa crisi della credibilità e anche dell’orgoglio italiani.
Ecco, abbiamo sott’occhio che cosa significa bancarotta di una classe dirigente. Politica, istituzionale, finanziaria, imprenditoriale. Dai partiti ai governi ai parlamenti, dalle banche di sistema ai capitani coraggiosi della nuova industria: tutti hanno portato il proprio mattoncino a una crisi che forse era inevitabile, ma si sarebbe potuta gestire e tamponare. Secondo la Commissione europea, l’Italia segna nel’Eurozona il tasso di deindustrializzazione più accelerato, insieme alla Finlandia. Torniamo a livelli novecenteschi, e più rapidamente di Grecia e Spagna.
Qualcuno ha un’idea? Qualcuno ha una soluzione?
Naturalmente no, sono domande spontanee ma ingenue. Non esistono soluzioni, esistono al massimo correttivi oppure accompagnamenti della crisi, come quelli che infatti Letta promette a proposito di Telecom, anche se l’attivazione del cosidetto golden power sarà tardivo e quindi imbarazzante agli occhi della Ue.
Si tratta soprattutto di vigilare sull’occupazione (ma su quella di Telecom Brasile, che teneva in piedi il gruppo e che Telefonica non potrà che smantellare, chi vigilerà?); di presidiare il controllo delle reti di distribuzione, vero bene pubblico, con un occhio alla questione strategica del traffico dati e internet; e di affermare i diritti prioritari dei consumatori, ai quali s’erano promessi fin dai tempi eroici delle privatizzazioni grandi vantaggi mai realizzatisi.
Sono cerotti, però. Sul corpo debilitato di un paese e di una struttura produttiva che impiegheranno decenni a riprendersi, ammesso e non concesso che sappiano dotarsi di una classe dirigente a ogni livello degna di questo nome.