Ma che vogliono queste colombe?
Hanno proprio scocciato, adesso. Qualcuno dovrebbe dirglielo con amichevole brutalità.
Qualcuno che non s’è mai iscritto al partito dei giudici, anzi considera con disperazione il lascito peggiore di vent’anni di guerra di trincea, ovvero nessuna riforma della giustizia, colossale regalo alla corporazione togata fra le tante corporazioni che si sono ingrassate nell’inanità del bipolarismo italiano.
Qualcuno che non ha mai pensato di potersi liberare di Berlusconi in un aula di tribunale (anche perché a ogni inchiesta vedeva casomai gonfiarsi con successo il martirologio e la sua propaganda vittimista), fino al punto di accogliere con piacere le molte assoluzioni decise dalla famosa magistratura politicizzata.
Qualcuno che sa riconoscere lo stato di subalternità in cui, in giro per la penisola, tante procure tengono tanti amministratori onesti mai protetti da immunità, paralizzati nel proprio lavoro dalla paura di precipitare in qualche codicillo interpretato a piacere, e mai liberati da alcuno nel nome dell’autonomia della politica.
Questo qualcuno – lo facciamo noi al posto suo – dovrebbe alzare la voce con le colombe e con l’uccellame vario forzista che pretende dal Pd di avviare trattative per «l’agibilità politica di Berlusconi», come fosse una prerogativa di legge, sulla base di un dato che loro considerano universalmente acclarato quando non lo è manco per niente.
«Nessuno può reagire con un’alzata di spalle quando Berlusconi e i suoi dicono che nell’assedio delle procure c’è fumus persecutionis», scrive Giuliano Ferrara. «Va affrontata politicamente la questione di una sentenza che a tutti noi appare ingiusta e che condanna un innocente», aggiunge Maurizio Lupi. E questi sono i buoni del Pdl, perché i cattivi in quanto cattivi hanno almeno il buon senso di non appellarsi a coloro che hanno insolentito per vent’anni.
Sul caso Mediaset non c’è alcun fumus persecutionis acclarato, qui di acclarato c’è solo una frode fiscale grossa come una casa per la quale nessuno ha chiesto scusa, pur in sostanza riconoscendola nell’atto di chiederne la derubricazione. Fossero pure in dieci milioni con Lupi a considerare Berlusconi innocente (ne dubito assai), lui rimarrebbe colpevole lo stesso.
Una sentenza politica? Ho avuto occasione di trascorrere le ore prima della pronunzia della Cassazione insieme a commentatori di centrodestra che davano per certa una «sentenza politica». Opposta, però, perché pensavano (dicevano di sapere) che Napolitano avesse istruito a dovere il giudice Esposito in nome della pacificazione e della stabilità di governo. Ragionavano con la logica che oggi denunciano. Guarda caso, sbagliavano. Si sono corretti ex post scoprendo (con bizzarro ritardo, vista la nota perizia dei loro cronisti pistaioli) che quella corte era zeppa di comunisti come neanche una procura milanese: strano, alla vigilia pareva esattamente il contrario.
Non c’è nulla di giacobino, tanto meno questa palla noiosa e ammuffita «dell’atto di piena e incontrollata sottomissione della sinistra alla magistratura combattente» (Ferrara) nell’inevitabile applicazione delle misure accessorie della sentenza. Questo è un atto parlamentare inevitabile (a meno che non abbia successo un legittimo ricorso alla corte costituzionale), quelli sono paroloni che a mala pena coprono la richiesta di uno scambio politico al più basso livello per favorire un potente, come a parti invertite nessuno si sarebbe sognato di fare.
Fossi un parlamentare democratico, mi sentirei responsabile dei destini penali di Berlusconi come dei risultati del raccolto del riso nel Laos. Non farei nulla per aggravarli né ne godrei. Ma certo non mi dannerei l’anima per fare favoritismi. Con l’argomento falso e peloso di proteggere in questo modo Enrico Letta, poi.