Le difficoltà di Ignazio Marino
Ignazio Marino è in difficoltà. Non è bello da dire ma è impossibile da negare. Il varo della giunta caricata dell’arduo compito di «liberare Roma» risulta troppo faticoso, paragonandolo all’entusiasmo della vittoria del 9 giugno.
Non è una questione di tempi: nel 2008 Alemanno impiegò venti giorni per allestire una giunta che si rivelò subito inadeguata, fino all’umiliazione dello scioglimento coatto per assenza di donne.
È una questione di qualità, più grave di qualche giorno di ritardo.
Nelle difficoltà di Marino giocano due fattori. Uno nazionale e uno romano, riguardante il Pd.
Quando avremo smaltito la sbornia anticasta, scopriremo che i tagli alle retribuzioni di sindaci, assessori e simili rischiano di portare le amministrazioni fuori mercato, rendendo appetibili alcune funzioni cruciali solo a due categorie di persone: quelli che fanno politica per carriera e quelli che fanno politica per fare soldi in nero. Tutti gli altri, magari capaci e competenti, devono essere animati da sacro fuoco per rinunciare a professioni meglio retribuite, oltre tutto per andare a fare un lavoro scarsamente popolare e ad alto rischio di inciampi giudiziari.
Sta succedendo a Roma, dove andrebbero impiegate le eccellenze, vista la dimensione dei problemi, e invece nomi importanti stanno rinunciando. Potrebbe succedere ovunque, causando la dequalificazione di incarichi che dovrebbero essere di alto livello.
Marino poi sconta la cattiva salute del Pd romano, un corpo malato di correntismo al quale le vittorie elettorali rischiano di fare più male che bene, riaprendo spazi di occupazione di potere rimasti chiusi per qualche anno.
Il punto di forza del sindaco è stato il suo apparire fuori dai giochi della politica locale. Che ora però lo assedia: nella versione light di chi vorrebbe solamente prefigurare sul Campidoglio gli equilibri del prossimo congresso Pd; e nella versione hard di chi (è successo ieri) rivendica incarichi in giunta per dirigenti democratici che, a differenza di Marino, «conoscono Roma»: simpatico eufemismo per indicare i navigatori degli eterni equilibri di potere della Capitale.
È un destino già toccato ai predecessori di Marino, pesi massimi che quando vollero seppero piegare gli interessi di partito facendo valere la consacrazione del voto popolare. Per il bene suo e della città, è tempo che il sindaco smetta il sorriso, scenda dalla bicicletta e cominci a imporsi.