Il giovane premier di un’altra Italia
Le immagini da Lough Erne hanno una loro forza simbolica che non può non piacere. Al tavolo rotondo del G8 l’Italia siede con un giovane uomo di 46 anni, e finalmente ci sentiamo allineati alle democrazie non gerontocratiche. Negli anni recenti abbiamo sempre oscillato fre due estremi: l’italiano ai vertici internazionali o era un anziano uomo competente, autorevole e serioso, oppure un anziano uomo brillante, caciarone e inaffidabile. Oggi finalmente abbiamo un premier competente e autorevole, giovane e non serioso.
L’intesa con Obama e gli altri big è stata facile, ma obiettivamente non sono i dettagli di colore o di carattere che risultano decisivi. Certo: Letta, Hollande e il presidente americano spingono sul tema dell’occupazione giovanile. È un bene, però non ci aspettiamo alcunché di risolutivo su questo terreno dall’Irlanda del Nord.
La partita cruciale si gioca in Europa, dove domina sempre il calcolo politico, ora incentrato sull’attesa delle elezioni tedesche, pur potendone prevedere l’esito (il vantaggio di Merkel appare incolmabile) e senza aspettarsi che dopo possa cambiare chissà che cosa.
Che si tratti di G8 oppure di trattative europee, Letta deve poter rafforzare la propria buona immagine personale presentando la sostanza di un paese convinto della strada intrapresa, che non prevede più da tempo la supina accettazione dei diktat. Non siamo più nella micidiale primavera-estate del 2011, quando Berlusconi e Tremonti in ginocchio dovettero accettare condizioni terribili, in primis il pareggio di bilancio da raggiungere entro due anni. Non siamo a quel punto grazie ai sacrifici micidiali che sulle spalle degli italiani hanno dovuto caricare politici più accorti di Berlusconi, in conseguenza degli errori e della leggerezza di Berlusconi: la concatenazione degli eventi e delle responsabilità va sempre tenuta presente e ribadita, quando il capo della destra prova a muoversi come fosse arrivato ieri sulla scena, prodigo di consigli e di incitamenti a sfidare quegli stessi partner europei davanti ai quali lui s’è dovuto inginocchiare.
In questa strana convivenza al governo, due vantaggi non vanno concessi al Pdl.
Quello di farne sbiadire le colpe per la situazione nella quale ci troviamo. E quello di regalargli il merito dei risultati che Letta riesce a strappare in Italia e all’estero alternando, com’è giusto, mediazione e conflitto.