Il Pd ritrova l’equilibrio, ma sarà per poco
Musi lunghi sabato pomeriggio lasciando la Fiera di Roma, dopo l’elezione di Guglielmo Epifani. Nessuno che abbia obiezioni forti sul nuovo segretario. Ma c’è la sensazione di aver compiuto una scelta di pura stabilizzazione, in un momento che è invece di rapida evoluzione e drammatizzazione del quadro politico, nel cortocircuito fra le battaglie giudiziarie di Berlusconi, la sorda ma durissima guerra intestina fra falchi e colombe del Pdl, la prematura sofferenza del governo.
La verità è che, dopo settimane di convulsioni, il Pd ha bisogno di ritrovare un suo equilibrio. Sapendo che, come nelle arti marziali, l’equilibrio serve a reggere i colpi che si ricevono e a spostare pesi e forze in vista di nuovi imminenti contatti.
Dopo la giornata di sabato le incognite sulla tenuta della maggioranza sono tornate tutte nel campo della destra. Berlusconi non vuole mettere a rischio il governo, che considera una propria creatura. Perfino nella bolgia di piazza Duomo s’è tenuto lontano da frasi veramente pericolose. I ministri Pdl che hanno cercato di non andare a Brescia rappresentano la corrente governista che spera nel miracolo di tenere insieme la stabilità a Roma e il conflitto a Milano: lo vedremo perfino in queste ore roventi dopo la requisitoria di Ilda Boccassini.
Il Pd di Epifani ha deciso di assecondare il tentativo. Sono soddisfatti che Letta abbia alzato la voce a Spineto. Davvero vogliono ricavare qualche risultato dal sacrificio per il governo e dallo scorcio di legislatura. I momenti concitati dopo l’elezione di Napolitano sono lontani, nessuno più ipotizza rotture. Solo la remota ipotesi di una consistente scissione dentro M5S potrebbe risvegliare la voglia di nuove maggioranze, ora congelata anche perché a sinistra del Pd c’è perfino più confusione che all’interno del Pd.
Chiaro che Epifani rappresenta una soluzione di stabilizzazione, e di continuità di linea e perfino di immagine rispetto a Bersani. A posteriori, non poteva che andare così: non c’erano le condizioni per fare diversamente, il precario equilibrio intorno a Letta non avrebbe retto alcun tipo di tensione politica nel Pd.
Certo, di nuovo, nell’assemblea non ci si è misurati sulle ragioni della sconfitta elettorale.
Ma le domande e le risposte intorno a quei tre milioni e mezzo di elettori perduti saranno inevitabilmente il tema-chiave del congresso. E se le decisioni di queste ore rispondono a una logica di recupero di equilibrio, la scelta della nuova leadership del partito dovrà essere all’opposto un evento fortemente dinamico, segnato dalla rottura di continuità con un passato recente segnato dalla sconfitta e dal crollo della fiducia.
I patti di sindacato a livello di gruppo dirigente, se ancora esistono, saranno smantellati. Al Pd entro ottobre serve una guida in grado di rigettare Berlusconi sulla difensiva, facendo risaltare la sua obsolescenza nella foresta pietrificata dell’Italia della guerra civile permanente. Entro l’anno il Pd deve essersi ripreso l’autonomia di scelta, e a quel punto dettare esso alla destra le condizioni della prosecuzione del lavoro generoso di Enrico Letta.