Un segno forte per il PD
Per quattro giorni Montecitorio è stato un luogo nel quale si consumavano atti stupidi e si dicevano cose stupide. Scoraggiante spettacolo per un paese sull’orlo di una crisi isterica.
Ieri, per un miracolo laico, l’aula è tornata solenne e si è incantata davanti a un capolavoro di civiltà democratica, di cultura politica, di ragionevolezza e accortezza, di senso dello stato e della storia, e anche di umanità posta al servizio della cosa pubblica.
E il segnale all’Italia s’è invertito, o almeno corretto. Un parlamento che in maniera schiacciante si riconosce nelle parole, nella persona e nell’idea della politica di Giorgio Napolitano ritrova un po’ di dignità e di speranza. Non sarà semplice dare un senso a questa legislatura nata male e cresciuta peggio, ma uno spazio politico e temporale per provarci c’è.
Per una coincidenza tipica di quest’epoca convulsa, al grande discorso di Napolitano, figlio di una cultura antica, si è accavallata la notizia della vittoria in Friuli di Debora Serracchiani, donna di una generazione lontana dal capo dello stato, che s’è trovata a battersi nel momento peggiore per il suo partito decidendo di contare solo sul sostegno di Matteo Renzi.
C’è un segno forte per il Pd in questa giornata.
Deve credere di più in se stesso, nella sua autonomia, nei suoi candidati giovani ma non inventati. Deve credere che nel famoso paese reale si sia capaci di misurare e di punire la stupidità delle parole e delle posizioni, la pochezza delle persone. Deve credere che la credibilità delle proposte possa prevalere sulle rigidità ideologiche, sui calcoli politicisti, sui settarismi, sulla voglia di sfasciare.
Nel Pd oggi questo profilo corrisponde alla leadership di Matteo Renzi, in qualsiasi forma essa si possa esplicare, e nell’impegno senza riserve a stare in un governo per varare le misure urgenti di economia per sbloccare le riforme della politica.