Un punto sulle consultazioni

Il passo formale di convocare una direzione nel pieno del mandato al segretario del partito era obbligato. Ma anche nella brevità estrema della riunione democratica di ieri è possibile rintracciare un senso politico.

Il senso è che il Pd ovviamente sostiene il proprio segretario ma ribadisce fin d’ora (lo hanno detto sia Enrico Letta che Franco Marini in un fulmineo intervento abbastanza significativo) di sentirsi nelle mani del capo dello stato.
Finiscono così, o dovrebbero finire, le polemiche quanto meno premature che erano scoppiate nel Pd fra domenica e ieri. Nello scambio fra Delrio e Fassina si alludeva a uno scenario che non si è ancora aperto (il fallimento del tentativo Bersani). Ora abbiamo la conferma che, quand’anche andasse così, il Pd non minaccia sfracelli né precipitazioni al voto ma si rimette di nuovo all’iniziativa di Napolitano. Certo, a quel punto, particolarmente difficile.

Bersani ha riproposto lo schema del doppio livello: un accordo ampio sulle riforme istituzionali (con una maggioranza inevitabilmente analoga a quella che eleggerà il nuovo capo dello stato, anche se ci si rifiuta di affrontare l’argomento) e un perimetro di governo molto più ristretto, per il quale è stato citato solo Monti.
A Pdl, Lega e grillini il Pd propone, con una formula innovativa che potrebbe far sorridere, «di non impedire» la nascita di questo nuovo governo. Vedremo già oggi pomeriggio con Pdl-Lega, e domattina in un inedito vertice con M5S, che fortuna avrà questa idea bersaniana, potremmo dire, del «legittimo non impedimento».

Naturalmente il fatto che Bersani non incontrerà né Berlusconi né Grillo non promette bene. E i toni berlusconiani degli ultimi giorni sembrano essere definitivi.
Quando giovedì il presidente incaricato tornerà al Quirinale, sarà giusto annotare che avrà impiegato più giorni a incontrare associazioni, sindacati, imprenditori e importanti sigle e simboli della società civile, che non i partiti.

Qualcuno dirà che Bersani l’ha fatto per preparare la propria prossima campagna elettorale.
Sarà però facile obiettare che la drammatica urgenza di avere un governo testimoniata da questi interlocutori a Bersani (e da lui riportata ieri alla direzione del Pd) funzionerà in ogni caso anche dopo di giovedì. Anzi sarà diventata più drammatica. Ineludibile. Qualsiasi decisione assumesse il capo dello stato.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.