Il gioco politico non basterà al Pd
Da oggi, finalmente, le chiacchiere sui giornali conteranno zero e le uniche parole che avranno senso ai fini della soluzione del rebus sul governo saranno quelle pronunciate nello studio del presidente della repubblica, davanti al segretario generale che verbalizza.
I riti della repubblica appariranno anche stanchi e stantii ai grillini, ma hanno il pregio di imporre a tutti rigore e precisione. Sicché solo domani mattina, quando la delegazione del M5S con Beppe Grillo (e forse perfino con Casaleggio) avrà lasciato il Quirinale, capiremo la vera consistenza della frase buttata lì da uno dei due nuovi commissari politici addetti alla comunicazione dei gruppi parlamentari, il quale non ha escluso l’appoggio a un esecutivo guidato da una personalità che non sia un leader politico.
Bersani fa bene a spingere fino in fondo il progetto di un incarico sulla base dei suoi famosi otto punti di programma. Può darsi che l’idea non si concretizzi, e che Bersani debba trovarsi costretto a fare anche lui un passo indietro come quello chiesto negli ultimi giorni a Finocchiaro e Franceschini, e prima di loro a molti altri dirigenti storici del partito. In ogni caso, il segretario sarà riuscito a trasmettere l’immagine di un Pd in rapida ed evidente evoluzione.
L’importante sarà non accontentarsi. La riflessione sulla sconfitta elettorale è stata comprensibilmente sospesa ma riprenderà non appena la nebbia intorno al governo si sarà diradata. Ieri l’esito delle votazioni sul capogruppo alla camera è stato importante per la promozione del giovane Roberto Speranza e anche perché ha segnalato la persistenza di un fermento interno molto forte.
Il rischio che corre il gruppo dirigente è di pensare che la manovra politica, anche di successo (le presidenze delle camere, la netta distanza presa dal Pdl, le difficoltà rigettate nel campo dei centristi e dei grillini), possa risolvere l’enorme problema che le elezioni hanno evidenziato nel rapporto tra il Pd e gli italiani. È una questione talmente grande (grande più o meno come tre milioni e mezzo di voti perduti) che non potrebbe risolverla neanche un incarico a Bersani, neppure l’eventuale nascita di un governo Bersani o un successo nella partita per il Quirinale.
Nel gioco politico non da oggi il centrosinistra è maestro. Grazie ad esso già in passato ha compensato deficit di consenso popolare. Non succederà questa volta. Il futuro del Pd non si decide nei palazzi di Roma.