La lezione di Giannino
Conosco Oscar Giannino da molti anni, da quando era giovane portavoce di un giovane Giorgio La Malfa. Di lui s’è scritto talmente tanto, in questi giorni, che aggiungere altro mi pare superfluo. Considero Oscar un giornalista straordinariamente preparato e pieno di passione, che di queste qualità ha fatto un mix interessante in un momento cruciale della storia italiana. In giro per l’Italia tante persone – soprattutto piccoli e piccolissimi imprenditori in difficoltà – hanno trovato in lui (e spesso solo in lui) un difensore disinteressato e dotato di empatia, con grandi capacità comunicative.
Ciò prescinde dalle posizioni politiche, anche se c’è da dire che nella critica feroce a un’Italia corporativa e ingessata, vittima delle grandi corporation e degli interessi organizzati, i liberisti estremi come Giannino non dicono cose molto diverse dai più coerenti e convinti liberaldemocratici.
Ora Giannino viene travolto (mantenendo un’apprezzabile dignità personale) da un errore che oscura le sue capacità e il suo progetto, e che è conseguenza da una parte di un lato caratteriale oscuro, e dall’altra di quel turbine egocentrico dal quale tanti colleghi giornalisti si fanno trasportare, a rischio di cadute rovinose per sé e per gli altri.
La vicenda di Giannino e della lista Fare è però emblematica di un fenomeno generale: l’improvvisazione e l’approssimazione di molte iniziative politiche ed elettorali messe su in fretta e furia, soprattutto con l’obiettivo – in sé non scandaloso – di scardinare il bipolarismo tra Pd e Pdl.
Se già è in crisi l’iper-personalizzazione della politica rappresentata da Berlusconi (che però si è applicata a un vero movimento di massa, a un popolo di centrodestra in carne e ossa), si sbriciola rapidamente la personalizzazione usata come scorciatoia per dare visibilità e peso politico a iniziative senza storia né radicamento.
Meno drammaticamente di Giannino, la vicenda della candidatura di Gabriele Albertini per la Lombardia (abbandonata ben prima del voto da tanti suoi sostenitori) è significativa della fragilità dell’intera operazione Monti. L’affanno della carovana di Ingroia conferma che sigle politiche estinte non vengono resuscitate dal nome di grido del momento. All’opposto, M5S cresce per la saldatura tra un’operazione mostruosamente verticista e un lungo lavoro, semiclandestino ma concreto, svolto sul territorio.