Monti non tradisca Monti
Abbiamo apprezzato il lavoro del senatore Monti per tredici mesi, non rivolteremo il giudizio nel quattordicesimo mese solo per le inevitabili asprezze di una campagna elettorale. Insomma, non restituiremo al presidente del consiglio la scortesia di cui egli si rende obiettivamente (e forse inevitabilmente) responsabile nei confronti dei partiti che l’hanno sostenuto e condotto dove si trova ora.
Monti però non deve tradire se stesso oltre certi limiti. Come invece ha fatto ieri con l’obliquo riferimento alla prospettiva di una manovra straordinaria che sarebbe inevitabile solo nel caso che non fosse lui a vincere le elezioni. Per l’esattezza Monti ha fatto riferimento a «certi esiti delle votazioni». Espressione ambigua, come non dovrebbe essere quando si sta parlando di argomenti essenziali: la tenuta dei conti pubblici, lo stato delle finanze, la credibilità italiana all’estero.
Forse il premier non intende dire una cosa così volgare e improbabile, e cioè che solo una sua vittoria ci metterebbe al riparo da nuove tasse e nuovi tagli. Forse anche lui (come noi, e anche come Bersani per esempio) pensa che l’unico scenario post-elettorale davvero pericoloso per l’Italia sarebbe l’ingovernabilità, la necessità di indire presto nuove elezioni o di tornare a quella «strana maggioranza» la quale (sempre a sentire il senatore Monti) sarebbe stata così poco efficiente durante il suo governo. Non crediamo che il senatore, per quanto assai conscio di se stesso, coltivi la pretesa di vincere le elezioni da solo, e da solo garantire al paese la governabilità necessaria. Se, più realisticamente, si vede fra una trentina di giorni coinvolto in una difficile trattativa sulla composizione di una maggioranza che faccia perno sul Pd, dovrebbe far prevalere la saggezza sull’orgoglio. Gettare fin d’ora le basi della stabilità, non della diffidenza e della sfiducia reciproca.
Sfidare i democratici a tirar fuori il meglio di sé, a essere più coraggiosi e riformisti di quanto siano, è un conto. E ci sta bene. Riproporre, peraltro con parole ambigue, la logora formula dell’inaffidabilità della sinistra sui mercati, questo non solo non è giusto: non è prudente, e davvero non è una cosa “da Monti”.