Le parole di Napolitano
Mario Monti è ancora indeciso, «riflette e continua a riflettere» secondo la definizione di Bersani che lo ha incontrato ieri. In compenso Giorgio Napolitano non è affatto indeciso e tiene ancora strette in mano le redini anche di questa crisi di fine legislatura: vuole personalmente accompagnarla e risolverla secondo tutti i crismi costituzionali (come già fece un anno fa), riconsegnando all’Italia del 2013 un governo pienamente politico diretta emanazione della volontà popolare.
Ovvietà, direte. Neanche per idea. Nei discorsi di Napolitano nessuna parola è usata a caso. E se ieri nell’affollata cerimonia al Quirinale ha ritenuto di dover sottolineare questa ovvietà, è perché troppi ancora giocano con la prospettiva di un incarico, dopo le elezioni, nuovamente figlio di un’emergenza, di una impotenza dei partiti, e quindi inevitabilmente ancora legato al nome di Monti. Non si può escludere che tale scenario si realizzi ma ora sappiamo che chi darà l’incarico non ha intenzione di soggiacere facilmente a nuovi strappi alla regola.
Era evidente, ieri al Quirinale, che il sistema nel suo complesso non è entusiasta di quest’ultimo tratto di percorso montiano. Dopo aver ascoltato Napolitano, lungo il corridoio che porta al salone delle Feste, Bersani e D’Alema commentavano scuotendo la testa l’indecisione del premier in questa cruciale vigilia elettorale. Intanto altri ricostruivano il momento, domenica scorsa, in cui il capo dello stato avrebbe addirittura prospettato a Monti la necessità di doverlo sostituire al governo nelle prossime settimane, nel caso avesse deciso una partecipazione elettorale diretta. Insomma le regole istituzionali e quelle politiche circoscrivono i margini di manovra dell’uomo al quale i centristi in Italia, e l’intero establishment internazionale, vorrebbero tornare ad affidare il futuro del paese.
Se però i commentatori noteranno queste strettoie indicate anche da Napolitano per Monti, i partiti hanno poco di cui essere soddisfatti. Il capo dello stato ieri ha usato nei loro confronti parole di critica dura per l’interruzione anticipata della legislatura e per il fallimento del mandato riformatore in alcuni settori-chiave. Ha citato le province, le leggi anticorruzione e sopra ogni altra cosa, con massima amarezza, la legge elettorale. Gentilmente, il presidente ha voluto seguire (citandola) la falsariga che su Europa (il giornale che dirigo) gli avevamo proposto: il confronto fra le realizzazioni del 2012 e le aspettative suscitate dal suo discorso di esattamente un anno fa, subito dopo l’avvio del governo tecnico.
Il giudizio sull’intero arco dal 2008 è definitivo: «legislatura perduta». Però Napolitano ci tiene a precisare che invece il bilancio del 2012 non è negativo. Sottolinea le difficoltà nelle quali i partiti si sono dovuti muovere. Evidenzia i risultati conseguiti. E alla fine il vero messaggio rivolto urbi et orbi è: non rovinate ciò che è stato fatto. Non date un’informazione distorta e pessimista sulle riforme varate; non date spazio a campagne distruttive; non trascurate il recupero di credibilità dell’Italia nel mondo; non vanificate il lavoro svolto, anzi proteggetelo dal «fuoco polemico della battaglia elettorale».
Non c’è dubbio che questi stessi concetti verranno ripetuti davanti alle telecamere nel messaggio di fine anno agli italiani, l’ultimo di Napolitano presidente. In questo modo, senza mai assolutamente entrare in giudizi di merito o tanto meno parte, il capo dello stato implicitamente offrirà gli argomenti per valutare il comportamento delle forze politiche, a quel punto in piena campagna elettorale. Mancano appena quattordici giorni. Eppure nel frattempo tante cose devono ancora avvenire.