Il ritorno alla normalità
Un passaggio del discorso tenuto ieri da Dario Franceschini nel dare il via alla legge di stabilità merita di essere sottolineato. È quello in cui il capogruppo Pd ha ricordato come i partiti dell’attuale maggioranza e i sindacati, sacrificando la ricerca del consenso, siano stati i veri protagonisti dell’uscita dall’emergenza. L’intero discorso è apparso segnato dalla volontà di capovolgere la vulgata «governo bravo, parlamento ozioso». Compreso un annuncio in sé scontato, in realtà evocativo: una fase è finita, «stiamo per tornare alla normalità».
Qui c’è il punto. Intorno a questo concetto ruoterà la discussione pre e post-elettorale. Perché «la normalità» dei partiti è esattamente ciò a cui tanti non vogliono tornare. Non parliamo degli antiparlamentaristi, bensì dei molti «sinceri democratici» che danno un giudizio negativo sull’efficacia dell’agire politico-parlamentare degli ultimi anni. Proprio perché il «problema del consenso» ha finito per dominare sul bene comune e spesso anche sul buon senso.
È difficile dar torto a chi teme questo tipo di «ritorno alla normalità ». Naturalmente sul tema vanno fatte tante distinzioni di responsabilità, ma negare l’evidenza di un fallimento collettivo può causare ai partiti (ai migliori) solo danni peggiori. Tra l’altro proprio gli attuali gruppi parlamentari devono ancora dimostrare di meritare in pieno, sulla cruciale questione della riforma elettorale, l’onore che Franceschini rivendica loro.
Non si tratta di una discussione accademica ma della partita sui futuri equilibri di potere e in prima battuta sulla collocazione di Mario Monti. La tensione sollevata dai tentativi di Casini e Montezemolo di appropriarsi della dote del premier si è sciolta ieri grazie a poche parole di Napolitano: Monti sarà fuori dalla contesa elettorale ma “dentro” le soluzioni politico-istituzionali del dopo-voto.
Bersani ha colto subito l’occasione. L’impostazione di Napolitano si adatta al suo schema: prima vincere le elezioni col centrosinistra, poi costruire una maggioranza anche giocando la carta del ruolo dell’attuale premier. Che, si sa, il Pd “vede” al Quirinale a mo’ di garante della nuova Italia nel mondo.
Dopo di che, Bersani sa che solo Monti deciderà su Monti. E che quindi toccherà in ogni caso tener conto della sua personale interpretazione di quel «ritorno alla normalità » di cui ha parlato ieri Franceschini applaudito da ogni settore della camera.