Il Pd, Monti, Montezemolo
Quelli che nel Pd domenica voteranno Renzi, e credono alla sua promessa di sfondare nell’elettorato di centro e destra, possono permettersi di considerare con distacco Montezemolo, Casini e il destino della rifondazione neocentrista: a stare al sindaco, lui è in grado di far fare al Pd il pienone di tutti i consensi di quell’area.
Gli altri no, gli altri che votano Bersani questo lusso non se lo possono permettere e fanno bene a tifare (in segreto) perché lo strano aggregato che va dai cislini agli ultras liberali passando per Sant’Egidio e i finiani funzioni almeno un po’. Deve andare in doppia cifra nei sondaggi (senza esagerare: il 15 per cento sarà sufficiente). Deve succhiare consensi ad Alfano (cercando di non succhiare via anche Alfano medesimo). Dev’essere abbastanza forte da riequilibrare e calmare Vendola.
Al di là dell’ostilità dichiarata di qualcuno (Orfini, Bindi), l’intera strategia di Bersani si impernia sull’esistenza di un centro più vigoroso dell’anemica Udc. Vigoroso quanto a numeri, si intende, per potersi rendere indispensabile (e al tempo stesso disponibile) alla nascita di una maggioranza parlamentare alla camera e al senato, con qualsiasi sistema elettorale e senza ricorrere ai berlusconiani. Da questo punto di osservazione lo spettacolo andato in scena nel week-end è ideale: il treno di Montezemolo è partito; imbarcherà personalità ed elettori che Bersani ritiene fuori dal proprio raggio d’azione e di interesse; farà numeri discreti; ma contiene al proprio interno il germe della rivalità tra ceto politico esistente e ceto extrapolitico incombente, oltre ad alcune ambiguità programmatiche già esplose. Dunque arriverà alla meta, farà il suo lavoro, ma senza mai diventare un supertreno. L’alleato ideale. Speculare a Vendola: utile, senza esagerare.
Perché questo schema utilitaristico regga, il professor Monti deve tenersi super partes. Se i centristi potessero fregiarsi del suo nome non sarebbe solo la concorrenza elettorale a farsi scomoda: scoppierebbero anche le contraddizioni che il Pd soffoca dentro di sé. Finché si fanno chiacchiere elettorali da primarie tutti sono bravi a criticare il professore e a fare i bulli coi mercati finanziari: rimane il fatto che Bersani, se toccherà a lui, non farà un passo verso palazzo Chigi senza essere sicuro della piena copertura da parte dell’unico italiano che abbia davvero credito a Bruxelles, a Francoforte e soprattutto alla Casa Bianca.