Il premio di minoranza
Montano la rabbia e la frustrazione nel Pd mentre si materializza lo spettro di un altro 2005, un altro accordo su una legge elettorale fatta su misura per danneggiare il centrosinistra. Ci sono motivi politici e tecnici per respingere la soluzione votata ieri in senato. Sul versante tecnico, Roberto D’Alimonte segnala l’eccesso della soglia del 42,5 per cento per il premio di maggioranza. Sul piano politico torna il dubbio, molto presente nel Pd, sull’affidabilità di Casini. Il tema è noto: l’Udc è più che disposta a sostenere un governo coi democratici; a patto però di limitarne la forza e di tenere aperta la porta a ogni interlocuzione a destra (Berlusconi escluso). La reiterata citazione di un Monti bis è solo la metafora di un disegno che colloca comunque Casini al centro di ogni quadro politico.
Nel tornare a far blocco con Pdl e Lega, l’Udc sa di provocare pesantemente Bersani. È il preavviso di quanto sarà aspra la strada per palazzo Chigi. Purtroppo però per il Pd è anche lo scotto da pagare a una dimensione elettorale e a una politica delle alleanze entrambe insufficienti a ottenere ciò che si rivendica come un diritto: il governo, un governo pienamente politico non delegato a figure tecniche né frutto di coalizioni innaturali.
È comunque insopportabile che le regole del gioco siano definite da partiti che tuttora possono fare maggioranza in parlamento, ma nel paese valgono tutti insieme il 20 per cento: praticamente stanno assegnandosi un premio di minoranza. Nessuno a cominciare dal capo dello stato, severo ed esigente in materia di riforma elettorale, può trascurare questo aspetto. Napolitano giocherà un ruolo decisivo nei passaggi di questa vicenda, tutt’altro che chiusa. Lui per primo sa che con la logica di esclusione praticata ieri si fila diritti verso le urne a cavallo del Porcellum.