Scenari di fine legislatura
Ieri un solo esponente politico ha detto che la ritirata di Berlusconi non cambia quasi nulla. È stato Italo Bocchino, braccio destro di Fini, e involontariamente con questa frase ha confermato che centristi e neocentristi sono i più spiazzati dalla nuova situazione.
Nessuno attribuisce alle primarie del Pdl proprietà taumaturgiche rispetto a una crisi per adesso irrecuperabile, però è evidente che con i due eventi speculari di centrosinistra e centrodestra lo scenario politico- elettorale torna a essere vagamente bipolare, con una terza forza non più centrista bensì grillina.
È ben possibile che i risultati siciliani, lunedì, costringano a rifare tutti i calcoli. Casomai però questa valutazione dà alla mossa di Berlusconi un peso maggiore, non minore: l’ha voluta fare, rendendo irrevocabili il proprio ritiro e le primarie del Pdl, mettendo queste decisioni al riparo da qualsiasi ulteriore scossone. Nel giro di poche ore siamo in grado di tracciare un possibile scenario di primavera, laddove fino all’altroieri si vedeva solo il posizionamento del Pd con i suoi alleati, e intorno un gigantesco buco nero.
È lo scenario migliore per Bersani, se prevarrà lui alle primarie. Perché Bersani ha bisogno di un avversario riconoscibile nel centrodestra (Alfano è l’ideale) quasi quanto ha bisogno di una situazione forte e stabile in casa propria. Nel gergo del Nazareno, Bersani versus Alfano è la perfetta competizione “da democrazia europea”. Dalla quale – soprattutto con gli attuali sondaggi e in permanenza del Porcellum come sistema elettorale – non è prevedibile che si esca con un’ulteriore coalizione anomala dal Pd al Pdl (il Monti bis escluso ieri dal segretario democratico).
Questo però possiamo dirlo oggi. Magari domani si metterà in moto il meccanismo che ha motivato Berlusconi: togliere l’incomodo per favorire in prima battuta la riaggregazione del centrodestra (con la Lega, nei sogni anche con Casini); e in seconda battuta, avendo riequilibrato i rapporti di forza col centrosinistra, obbligare quest’ultimo a un’altra coalizione forzata con al governo Monti o chi per lui. Sia questo disegno berlusconiano (ammesso che ci sia effettivamente un disegno, in una mossa che sappiamo dettata soprattutto dalla stanchezza e dall’esasperazione personale, nonché dalle pressioni della famiglia e delle aziende), che la competizione ideale vagheggiata da Bersani rischiano di andare a sbattere contro variabili fuori dal loro controllo.
La prima naturalmente si chiama Movimento 5 Stelle. Non c’è passaggio politicoparlamentare (ultimo ieri il rigetto del decreto governativo sui tagli ai costi della politica da parte di una commissione della camera) che non finisca per aiutare la campagna di Grillo. Nella sua scorribanda siciliana è accompagnato da folle entusiaste. Il Sud era per lui un’incognita: se lunedì dovesse uscire con un risultato alto, l’effetto moltiplicatore sul resto d’Italia potrebbe essere travolgente. E i piani degli altri partiti finire davvero, come promette Grillo, a brandelli.
Il M5S è la vera terza forza, magari anche la seconda. Mesi, anzi anni, di manovre e di posizionamento non servono a Casini e all’Udc per uscire da una condizione politicamente ed elettoralmente povera. È anche ovvio. Non basta aver fatto la scommessa giusta, sulla caduta di Berlusconi e sull’avvento di un governo tecnocratico naturaliter centrista: di questi tempi non si ottiene nulla senza gesti forti di rottura col passato.
L’auto-pensionamento di Berlusconi, l’improvvisa competizione nel Pdl, la cavalcata di Renzi, il ritiro di Veltroni e D’Alema, la violenza rottamatrice di Grillo: a tutto questo i neocentristi rispondono ancora con Casini, con Fini, con la convegnistica cattolica, le furbizie dell’Udc laziale, la geometria variabile delle alleanze… La marginalità è tutta meritata, rimane solo la speranza di risultati elettorali che consentano di essere indispensabili. Ma con percentuali che non permetteranno di porre tante condizioni.
All’opposto, il Pd s’è messo da tempo all’altezza della domanda di novità politiche. E per fortuna continua ad adeguarsi, superando gli ostacoli frapposti dalle proprie stesse prudenze e dalle ruggini d’apparato. Dopo settimane di sofferenze, ieri d’incanto il nodo delle regole delle primarie s’è sostanzialmente sciolto. Sarà stata la paura di apparire più rigidi del Pdl nell’aprirsi agli elettori; sarà stato l’effetto del ricorso di Matteo Renzi; sarà stato il prevalere di Bersani nella parte del “poliziotto buono” che ammorbidisce i suoi funzionari “poliziotti cattivi”. Fatto sta che l’iscrizione alle liste elettorali per il 25 novembre è diventata improvvisamente più facile (potendola fare anche on line) e più protetta quanto a privacy. Ciò che sembrava, chissà perché, impossibile e perfino offensivo, è diventato possibile in mezza giornata.
Una volta abbassate le barriere all’ingresso, si svelerà forse che le difficoltà di Renzi in questa fase della campagna per le primarie sono più politiche che regolamentari. Il consenso rimane alto ma, come segnalavamo fin da venerdì scorso, ha cessato di espandersi. Si preannuncia una fase due: vedremo di che cosa si nutrirà. In parte Berlusconi ha tirato a Renzi una fregatura simile a quelle di Veltroni e D’Alema: gli ha tolto il monopolio del fattore “novità”. I famosi elettori di centrodestra attratti dal giovane rottamatore avranno forse altri personaggi ai quali interessarsi nelle prossime settimane. La reazione del sindaco ci dirà di che pasta è fatto.
Tra l’altro sulle primarie è calato il gelo del rischio giudiziario di Nichi Vendola. Da Bari viene una richiesta di condanna pesante e chissà quanto giustificata. La reazione del leader di Sel è stata forte, drastica, all’altezza del carattere del personaggio. Se davvero Vendola fosse costretto a chiamarsi fuori sarebbe una perdita assoluta, un evento negativo che nessuno può augurarsi: Nichi è l’emblema di una radicalità che deve poter esprimersi e che deve avere una leadership matura come la sua.
A parte il fatto che, senza Vendola, le primarie a doppio turno diventerebbero di sicuro a turno unico, cioè con Bersani o Renzi sopra al 50 per cento fin dal 25 novembre. Sarebbe l’obiettivo che si danno i bersaniani per poter “spegnere” da subito il renzismo. Non in questo modo, però.