Riparliamone dopo le primarie
A questo punto sarebbe saggio sospendere la querelle sulle candidature e sui siluramenti eccellenti nel Pd, per riprenderla alla vigilia della stesura delle liste elettorali.
Quindi dopo le primarie, che altrimenti rischiano di diventare un plebiscito neanche sui veri candidati, ma sul destino di una serie di nomi illustri. Ieri è stata una giornata ad alta tensione, dopo che Bersani è parso respingere la solenne istanza di D’Alema «mi candido solo se me lo chiede il partito». Le parti in causa hanno trascorso il pomeriggio a cercare di riaggiustarla, diffondendo versioni corrette ed edulcorate. Il senso della frase di Bersani era però difficilmente equivocabile, anche perché già espresso altre volte: io sono il primo garante del rinnovamento dunque non mi faccio battere da Renzi su questo terreno; ci vuole rispetto per i fondatori del Pd, ma tutti gli interessati sanno che le deroghe alla norma sul limite dei mandati saranno poche e difficili; quanto a D’Alema, io non chiedo a nessuno di ricandidarsi.
D’accordo, non toccherà solo a Bersani di fare e disfare le candidature. È evidente però che il doppio ruolo di segretario e di candidato alle primarie – per altri aspetti vantaggioso – in questo caso risulta scomodo da reggere. Al di là di veri o presunti patti fra i leader, il segretario è comunque garante dell’unità del gruppo dirigente. Quando Renzi affonda il colpo, è dura fare contemporaneamente la parte di chi deve tutelare chi l’ha sostenuto (tipico il caso Bindi) e quella di chi s’impegna a un rinnovamento altrettanto drastico di quello minacciato dal rivale.
Difficile per Bersani, dunque, come dimostrano i ripetuti incidenti. Ma non così facile neanche per Renzi. Il suo intento rottamatore ormai è acclarato. I consensi di coloro che hanno questo punto come priorità sono garantiti. Non bastano però per vincere, e anzi c’è l’impressione che il tema cominci un po’ a scocciare. L’approccio determinato ma rispettoso e soft di Bersani può soddisfare molto più della reiterazione vagamente ossessiva di Renzi. Ecco perché l’accantonamento del tema “destino di D’Alema” probabilmente conviene a tutti.