Un Pd vivo tra partiti in agonia
Chissà se è vero che il 2 dicembre prossimo, in contemporanea con uno dei due turni delle primarie democratiche, Berlusconi annuncerà la fine della storia del Pdl. I motivi ci sarebbero tutti, a cominciare dal crollo verticale e inarrestabile dei consensi; e poi gli scandali, le guerre intestine, le minacce di scissione, gli abbandoni clamorosi e, ancor più numerosi, quelli silenziosi. Per poter esistere sulla scena sarebbe necessario l’ennesimo travestimento: ma le maschere sono tutte esaurite. Da Monti e Montezemolo in giù, non c’è chi si presti a tirare su i naufraghi del berlusconismo. E nessuno, neanche Berlusconi, immagina quale colpo di scena possa permettergli di imbastire un minimo di competizione con il Pd in vista delle elezioni.
I delegati all’assemblea nazionale del Pd dovrebbero trarre forza e orgoglio da questa concomitanza. Guardando all’indietro, già il discorso del predellino del novembre 2007 fu un indiretto omaggio alla capacità di iniziativa del Pd, la cui fondazione era considerata al tempo l’unica novità positiva di una scena politica già segnata dalla crisi. Con la svolta di San Babila Berlusconi riuscì a vincere le elezioni. Nient’altro, però. Il popolo di centrodestra che avrebbe dovuto trovare finalmente la propria casa è oggi disperso, disilluso, sbandato, senza rappresentanza. L’epico fallimento di una classe dirigente mai stata realmente tale. Al di là delle dimensioni (e delle complicazioni) del possibile successo elettorale, qui sta il successo del Pd.
È vero, non è stato il centrosinistra a sconfiggere Berlusconi, e di questo si paga e si pagherà il prezzo perché non si possono accampare meriti che non si sono conquistati sul campo. Ma nelle discussioni interne e nella contesa delle primarie nessuno dovrebbe dimenticare il dato di sistema: il Pd è saldo, in piedi, perno del sistema politico attuale e futuro, mentre l’avversario si è dissolto e tutti gli altri competitors si interrogano su quale travestimento adottare davanti agli elettori.
C’è una solidità di fondo in questo progetto che fa già somigliare il Pd ai grandi partiti europei perché per esempio gli consente di prescindere dai cambi di leadership.
Se si svolgerà, l’evento berlusconiano del 2 dicembre sarà un atto di disperazione. Le primarie, nelle stesse ore, saranno invece una prova democratica autentica, positiva, proiettata sul futuro. Non importa se la scelta fra Bersani, Renzi e Vendola sarà coerente o meno col sistema elettorale. Queste sono quisquilie da azzeccagarbugli, agli italiani arriverà solo il messaggio di un partito che sa restituire ai cittadini potere di scelta. Di questi tempi è tutto. E siccome il merito di una simile chance è, per motivi diversi, di Bersani, di Renzi e di Vendola, ogni “partito” delle primarie avrà innanzi tutto convenienza – già dall’assemblea di oggi – a valorizzare l’evento. Non solo Berlusconi, neanche Grillo potrebbe permettersi un simile lusso. Non parliamo dei contorti e opachi manovratori del “nuovo centro”.
Il capo dello stato ieri ha fatto un importante e sofferto discorso sulla inadeguatezza del sistema politico, sulla pessima immagine che trasmette, sulla necessità di un forte senso morale. Il presidente ha dolorosamente ragione. In cuor suo, però, Napolitano non può non registrare che è proprio nel Pd, con tutti i suoi limiti, l’unico punto saldo sul quale si possono appoggiare i nuovi equilibri politici e di governo. Dunque può avere nella giornata odierna una consolazione, e un incoraggiamento nell’importante lavoro che gli rimane da fare.
Del resto, se il Pd è oggi quello che è – un partito di altissima responsabilità, nel quale nessun dirigente che conti davvero pensa minimamente di far saltare il banco delle riforme avviate da Monti – il merito è anche del capo dello stato, della sua pazienza e della sua tenacia.