Lo sbraco di Roma
Non vanno in crisi: sbracano. L’espressione tipicamente romana è perfetta per descrivere il collasso della destra capitolina e laziale, una specialissima e importantissima componente una volta della Dc e del Msi, oggi del Pdl e delle sue propaggini più o meno neofasciste.
Non è solo un fallimento politico e amministrativo, plateale e praticamente confessato sia nel caso della giunta Alemanno che in quello della giunta Polverini.
I giovanotti azzimati eletti nei listini protetti – figli, figliocci, nipoti, amici degli amici – si presentano ancora in tv osservando i codici dell’eleganza berlusconiana, mentre una nemesi perfida li espone al ridicolo riproponendo le loro feste, vestiti di pepli da antichi greci e impegnati in baccanali post-elettorali.
Ormai è chiaro, da Arcore in poi: il kit del forzista perfetto del 1994 aveva un sottofondo di travestimenti notturni di cui sapevamo, e che certo non arrecavano danno a nessuno, ma che oggi appaiono insopportabili, tanto più se davvero Franco “Batman” Fiorito sta esibendo ai magistrati le fatture dei festoni in costume pagate dai contribuenti.
La caduta di credibilità della politica ha nella destra romana una fenomenologia specifica, ben descritta in questi giorni con la metafora degli affamati (di governo, sottogoverno, soldi) che si ingozzano fino a strozzarsi appena vengono ammessi al banchetto del potere. Davanti al buffet sono sparite anche le distinzioni fra la destra di popolo (di borgata, di provincia laziale) e quella ricca, pariolina, marca Previti.
Come è già accaduto a livello nazionale, si spalanca un vuoto davanti al centrosinistra che a Roma temeva (e meritava) un purgatorio più lungo. Regione e Comune: due rigori a porta vuota da calciare nella stessa primavera, praticamente nella stessa partita. Occhio solo alla squadra che si metterà in campo. Dubitiamo che quella delle vecchie glorie del centrosinistra capitolino si sia mai ripresa dalle sberle del 2008 e del 2010.