Le polemiche alla larga da quei paesi
Un territorio non cementificato, anzi rispettato e curato. Luoghi di antica cultura e bellezza. Comunità coese, organizzate, solidali al proprio interno e sempre fra le prime e le più efficienti quando si tratta di portare soccorso negli angoli più sfortunati d’Italia. Una struttura produttiva capillare, avanzata, specializzata: esattamente il tipo di impresa che può sperare di reggere alla crisi e di fornire una piattaforma alla ripresa nazionale.
Questa è l’Italia che viene colpita, messa alla prova dalla più imprevedibile delle catastrofi in un paese che ha conosciuto tante catastrofi prevedibili. Questa è l’Italia che si stava rialzando con orgoglio – perfino, s’è visto, con qualche avventatezza – e che ieri è stata messa in ginocchio, come se gli sforzi degli uomini dovessero essere rintuzzati. E il terremoto ha la meglio: dove cominciava a esserci volontà di ricostruzione ora si è costretti a piangere i morti (tanti lavoratori di una classe operaia multietnica), prevale la paura, si è tentati dalla fuga.
È un presagio negativo per l’Italia, che una regione non abituata a chiedere aiuto ma casomai a darne si scopra così vulnerabile. È un cardine importante per la rinascita del paese che scricchiola e cede. Come ha detto anche Napolitano c’è da verificare se tutto è stato fatto a dovere quanto a prevenzione e misure di sicurezza. Ma le polemiche gratuite per favore no. Prendere l’occasione per gonfiare ulteriormente la rabbia contro le istituzioni e «la politica», questo sfizio tenetelo lontano almeno dall’Emilia disastrata. C’è da unire le forze e da lavorare, adesso. Per dividere avrete tante altre occasioni.