Stalingrado a chi?
Dunque Parma è «la nostra Stalingrado », dice Beppe Grillo. Curioso accostamento storico, visto che a Stalingrado vinsero i difensori della città e questa è una bizzarra identificazione per i grillini (a parte il dettaglio ulteriore, ma la sofisticazione diventa eccessiva, che i russi nel ’43 vinsero anche grazie al fanatismo ideologico e patriottico instillato dal Piccolo padre Stalin: e anche qui il parallelismo si fa scivoloso).
Comunque, Grillo mostra di aver colto un punto. Entrati nella bagarre, per quelli di Cinque Stelle valgono ormai le regole della politica e dei normali partiti davanti alle elezioni: si può vincere ma si può anche perdere, e una sconfitta con qualsiasi percentuale rimane comunque una sconfitta. Dunque adesso a Parma Beppe Grillo vuole e deve vincere: per il suo movimento è un passo ulteriore verso la normalizzazione, come lo è del resto l’aver ricevuto l’appoggio esplicito dell’ex sindaco di centro e centrodestra Ubaldi.
Il rischio per la città appare remoto: un sussulto se non altro di autoconservazione suggerirà ai parmensi di non affidarsi a gente che, per dirne una, ha detto che si rifiuterà di rinegoziare con le banche il colossale debito accumulato dal centrodestra uscente. Il candidato del Pd, Bernazzoli, fa bene a dire che la scelta deve riguardare solo gli interessi di Parma. Sa anche lui però che ormai la partita ha valenza nazionale. Battere Grillo, dopo aver cancellato Pdl, Lega e Terzo polo, confermerebbe il Pd come unico partito rimasto, argine alla demagogia grillina.
Proprio perché c’è questo valore nazionale, però, l’immagine e le notizie che arrivano da Roma conteranno a Parma, come dappertutto. Conterà come i media racconteranno il dibattito sul taglio dei soldi ai partiti (cominciato ieri alla Camera). E conterà anche (in negativo) la stasi della riforma elettorale, della quale si promette lo sblocco dopo i ballottaggi ma sul cui esito positivo è legittimo avere dubbi: se dovesse andar male e dovesse rimanere il Porcellum, ricorderemmo queste amministrative come l’ultima volta nella quale i partiti hanno avuto una chance di farcela.