Del leader non si può fare a meno
Non date per estinto il partito personale, avverte colui che il concetto l’ha inventato cioè Mauro Calise. Tesi importante, visto che dalla crisi di berlusconismo e bossismo il Pd pensa di poter uscire come l’unico vero partito sulla scena, emendato da tentazioni personalistiche, con radicamento territoriale e regole democratiche perfettibili ma inesistenti altrove.
Bersani può dire di aver puntato giusto: ha scommesso sulla crisi della forma tipica del partito della Seconda repubblica (oltre che sui suoi uomini simbolo) e ne ha fatto il tratto caratteristico della presenza sulla scena (da “uomo normale”). Non c’è bisogno di ricordare i molti passaggi nei quali la sua immagine di normalità è stata ricercata e proposta. Gli ultimi eventi (articolo 18) hanno premiato il lavoro del leader mediatore che interviene in prima persona solo in extremis, che cuce più che strappare.
Tutto vero ma guai a illudersi sul ritorno ai partiti di massa, di nuovo fondati sulla difesa di interessi distinti e in conflitto fra loro, guidati da gruppi dirigenti collegiali e intercambiabili. «Cose che valevano per l’ottocento e il novecento», taglia corto Calise, e lo dice all’Unità: la prevalenza e velocità dei media, l’individualismo, la frammentazione degli interessi continueranno a premiare la personalizzazione della politica.
È un avviso da considerare. Ci sono dati della modernità non revocabili. Uno di questi è il bisogno degli elettori di far coincidere la proposta politica col nome, il volto e la credibilità di chi la avanza. Forse con Berlusconi e Bossi (in attesa che fallisca qualcun altro) è finita un’era di populismo e demagogia, fattore degenerativo del dibattito pubblico e della vita interna dei partiti. Ma la necessità di proporre leadership forti non è venuta meno. Essenziale è che cambino i fattori che definiscono la forza: non più la ricchezza, l’estetica, l’arroganza del politicamente scorretto, bensì la competenza, lo spessore internazionale, il rispetto delle regole, ovviamente l’onestà. Anche da questo punto di vista il governo Monti ha alzato l’asticella da superare.