L’intervento di Napolitano
È il governo del presidente: nella buona e quindi anche nella cattiva sorte. Con Mario Monti, Giorgio Napolitano ha condiviso fin qui l’ondata di consenso e di aspettative positive. L’opinione diffusa continua a essere largamente favorevole, ora però i due presidenti devono condividere anche l’inevitabile rimbalzo negativo. Emergono le conseguenze (sottovalutate) delle misure drastiche sulle pensioni; l’aumento delle tasse colpisce nelle buste paga; la crisi di liquidità morde le piccole imprese e i lavoratori autonomi. La sofferenza sociale è trasversale, ma diventa dramma e anche tragedia personale per artigiani, commercianti, le figure individuali più esposte.
Non c’è contraddizione fra il consenso che i sondaggi concedono ancora a Monti, e la palpabile crescente insoddisfazione. Il premier gode della mancanza di alternative, della credibilità comunque superiore rispetto agli altri attori politici, del confronto vantaggioso con un passato impossibile da rimpiangere. Anche per questo Bersani s’è innervosito per le battute asiatiche del premier: perché (eclissatosi oltretutto Berlusconi) l’impatto negativo dal paese arriva solo addosso a lui.
Per questo si rende necessaria l’interposizione di Napolitano. Ha voluto lui questa situazione, senza mai nascondere che la crisi economica fosse terribile, ma ora che comincia ad alzarsi l’insofferenza (non solo quella organizzata dai sindacati), è il momento per il capo dello stato di spendere in difesa del governo, del quadro politico e quindi indirettamente dei partiti l’enorme patrimonio di credibilità accumulato negli anni.
Ecco allora partire dal Quirinale l’appello all’accordo fra le parti sociali, ecco il riferimento ai giovani, ecco il varco riaperto alla modifica in parlamento delle norme sui licenziamenti. Ed ecco l’ombrello offerto ai partiti perché conducano avanti riforme elettorali e istituzionali neanch’esse destinate a suscitare entusiasmi popolari.