La leggenda dell’inciucio
A ciascuno il suo. Noi dobbiamo fare il nostro dovere, che consiste anche nello smontare luoghi comuni, leggende, operazioni di disinformazione sull’attività dei partiti, sulla loro politica, sulle loro strategie, sull’integrità dei loro leader. I partiti naturalmente facciano il loro, di dovere, che non si risolve solo (e pare già difficile) nel restituire potere di scelta ai cittadini con una nuove legge elettorale e nel recuperare un minimo di efficienza per la macchina legislativa, ma anche in una autoriforma radicale del modo di funzionare, di finanziarsi, di gestire i patrimoni, di aprirsi al controllo esterno e superiore rinunciando all’attuale teoria e prassi della arbitrarietà.
Vediamo le questioni sul tappeto: legge elettorale e finanziamento pubblico. È semplicemente assurdo, e non si vede dove vada a parare, l’improvviso riesplodere dello scandalo intorno al cosiddetto “inciucione” tra Pdl e Pd. A parole tutti vogliono la cancellazione del Porcellum. Fino all’altroieri era in campo uno strumento formidabile come il referendum: noi ci abbiamo creduto, più di un milione di italiani l’ha chiesto. La pressione positiva rappresentata dal referendum non c’è più, per i motivi legittimi addotti dalla Corte costituzionale. Allora? Come vogliamo fare a liberarci del Porcellum? Chi deve occuparsene?
Come Napolitano ha chiesto decine di volte, tocca al parlamento e dunque ai partiti. Non siamo nati ieri, è evidente che in questa partita una forza indebolita come il Pdl cerca una rilegittimazione, punta a ricostruire rapporti politici, mira a garantirsi un sistema elettorale non penalizzante. E con questo, che si fa? Io non invidio nessuno che debba sedersi a un tavolo con La Russa, però da queste strettoie passa il metodo democratico. Le regole si cambiano insieme, a meno di non voler fare come Casini e Berlusconi nel 2006. E proprio con questi due signori tocca di nuovo fare i conti.
Allora invece di evocare gli spettri per spaventare i gonzi ragioniamo su come il Pd possa rafforzarsi in questa trattativa, su quale ipotesi di sistema politico preferisca, su come possa a sua volta costruire rapporti politici ed elettorali con gli altri partiti anche su questo terreno: escludiamo fin d’ora che Bersani voglia isolare qualcuno o isolarsi per fare regali a Berlusconi.
Chi definisce tutto ciò inciucio dovrebbe anche proporre ai suoi lettori ed elettori praticabili strade alternative alla riforma elettorale. Se ne guardano bene.
Veniamo poi al finanziamento alla politica e alle vicende in corso. L’ultimo caso, quello che riguarda l’impiego dei rimborsi elettorali della ex An, conferma quanto si è già capito nei primi passaggi della vicenda Lusi, una situazione che era nota a tutti e fino a ieri data per scontata: appropriazioni indebite a parte, l’utilizzo dei fondi raccolti dai partiti è totalmente discrezionale. Finché queste dotazioni servono ad alimentare le attività di partiti esistenti, c’è almeno una logica politica riconoscibile e una leadership chiamata a risponderne; se invece – come è successo in questi anni – le medesime (legittime) attività politiche vengono finanziate con fondi (altrettanto legittimi) di gruppi magari dispersi in vari partiti, quindi non più governati da una leadership riconosciuta, lì la trasparenza viene meno, sorgono problemi e controversie, gli arbitrii diventano più facili, alla fine diventa possibile ciò che dovrebbe essere impossibile.
Pur consapevole di questa opacità, l’intero gruppo dirigente della Margherita non ha visto il rischio o non ha saputo scongiurarlo, e ora paga in termini di immagine e di credibilità. Altrettanto, da ieri, tocca alla ex An: con l’attenuante che furti fin qui non se ne vedono, ma con l’aggravante di una scissione che ha avuto il corollario di denunce e liti giudiziarie, cosa che la Margherita s’è risparmiata.
Allora qui c’è da dire una verità, con la quale anche l’autorità giudiziaria sa di dover fare i conti: con le leggi attuali un partito, morto o vivo che sia, non deve rispondere a nessuno di come spende i soldi a vario titolo elargitigli dai cittadini. Se vuole avere una certificazione esterna è un bel gesto (quello deciso a suo tempo da Veltroni e Agostini per il Pd, e andrebbero ringraziati), ma non è obbligatorio. Nessuno può essere messo alla gogna per aver partecipato a un sistema antipatico forse, ma legale. Chiaro che se ci sono reati è un altro discorso.
Fatta questa operazione-verità sul passato e sul presente (ardua, perché il sentire comune rifiuta di accettare oggi ciò che pure era noto fino a ieri, e combattuto davvero solo dai radicali), i partiti dovrebbero però essere molto rapidi ed energici per quanto riguarda il futuro. Rovesciare l’attuale logica del finanziamento e chiudere l’era dei partiti impenetrabili è perfino più urgente che cambiare la legge elettorale. Bersani e Casini avevano fatto balenare proposte «entro una settimana», ma ormai questo accadeva dieci giorni fa. Il Pd quanto a trasparenza sta un passo avanti, però il discredito ai danni dei partiti (anche alimentata ad arte) corre più veloce.
È ancora giusto difendere la dignità dei partiti, la loro indispensabilità, il principio del finanziamento pubblico in alternativa al quale c’è solo il partito del padrone o al servizio di padroni esterni. Ma è sempre più difficile. Devono darsi una mossa.