Unità nazionale europea
Per quanti sforzi si facciano, non è possibile ridurre la portata del lungo incontro di Monti con i tre segretari dei partiti che sostengono il governo. Al di là dei possibili retroscena, Alfano, Bersani e Casini hanno deciso di porre un altro sigillo al patto sottoscritto a novembre.
I leader di Pd e Pdl negano l’esistenza di una «maggioranza politica». Si capisce benissimo perché lo facciano e non vogliamo smentirli, ma l’evento stesso di ieri e l’accordo che è stato raggiunto hanno grande pregnanza politica. Rispondono all’esigenza di «metterci la faccia» che Monti e Napolitano hanno sollevato spesso, e che era diventata impellente dopo lo shock del declassamento da parte dell’agenzia Standard&Poor’s.
Non c’è da dubitare che il premier abbia ieri trasmesso ai politici il senso dell’urgenza, la drammaticità della situazione negli stessi termini che contemporaneamente stava impiegando Mario Draghi a Strasburgo.
Fosse anche vero che i tre segretari hanno parlato con Monti solo di come rafforzare la posizione italiana in Europa, sarebbe già decisivo. È in atto una guerra sorda sul tipo di reazione che l’Eurozona deve avere dopo il colpo subìto in particolare da Francia e Italia. Impossibile non pensare che non ci sia soprattutto questo, dietro il rinvio del vertice romano con Merkel e Sarkozy. C’è chi ipotizza ulteriori pressioni tedesche sull’Italia perché si arrenda alla prospettiva di un prestito del Fmi: per poter cedere, o più probabilmente per poter resistere, Monti ha bisogno di un esplicito e rafforzato sostegno politico.
Impossibile non vedere poi che la mozione parlamentare “europea” unitaria di cui si parla verrebbe sottoscritta e votata dopo il varo del decreto liberalizzazioni. E allora è impensabile che su una cosa ci sia coesione mentre sull’altra ci si scontra: Monti dovrà presentarle entrambe, insieme alla manovra di rientro dal deficit, al cruciale Consiglio europeo di fine mese.