Il supermarket e la ditta
Guardo i nomi di chi è rimasto più malamente spiazzato dal successo della Leopolda. Vendola, Grillo, Ferrero. Osservo che Casini dovrebbe rifare un po’ di conti, se il baricentro del Pd dovesse mai essere quello proposto da Matteo Renzi. Considero che l’unico argine all’espansione dei consensi potenziali del sindaco di Firenze nell’elettorato indeciso e in fuga dal centrodestra è lo scarso livello di conoscenza del personaggio: e a questo, da oggi in poi, i media provvederanno a rimediare. Mi chiedo: oltre che per Matteo Renzi personalmente, c’è del buono anche per il Partito democratico, in tutto ciò?
Qui non si tratta di decidere se Renzi avrà o no uno spazio nella politica italiana: questo è già deciso, l’ha deciso lui e lo spazio se lo sta prendendo, sarà ampio e duraturo: nessuno può deciderlo per conto suo.
Qui si tratta di decidere se il Pd si farà rafforzare o si farà debilitare da questa vicenda. E questo non dipende solo dalla buona volontà di Matteo, dalla maggiore o minore sincerità delle sue dichiarazioni d’amore per il Pd. Dipende dalle qualità di questo corpo collettivo e dall’intelligenza di chi lo dirige.
Ed è una partita che si gioca subito, nei prossimi tre mesi: l’arco temporale che Bersani ha dato al Pd per definire la propria linea, che Renzi ha dato a quelli della Leopolda per rafforzare le condizioni della candidatura, e che è del resto il tempo entro il quale si saprà se davvero le elezioni si svolgeranno nel 2012 o nel 2013 (la cosa non è indifferente per i tempi, del segretario e del sindaco).
Dirigere vuol dire anche saper dirigere personalità forti e ingombranti.
Un leader che preferisca avere a che fare con personaggi medi o scarsi prima o poi sprofonda nel vuoto che s’è creato sotto. Berlusconi e la fine che sta facendo è una grande lezione da questo punto di vista. La storia non felice della sinistra recente è un’altra lezione.
Se lo ricordi Renzi, quando toccherà a lui (ma già ora). E se lo ricordi Bersani, che ha il grande pregio (raro in politica) di non farsi travolgere dal proprio ego.
«Mettersi a disposizione» è un bel concetto. Qualcuno mette a disposizione il duro lavoro, altri la capacità analitica, qualcuno il tocco di genio, qualcuno la mediocrità e la disponibilità al sacrificio. Non si può trattarli tutti alla stessa maniera. Nel modo in cui Bersani ha pronunciato la frase, ieri a Napoli, non ho avvertito l’invito alla subordinazione. Ma l’invito alla normalizzazione sì, e questo non è possibile e non è giusto.
Piacere agli elettori di centrodestra non è un difetto: è uno straordinario punto di forza. Non dimenticate che i buoni sindaci del centrosinistra hanno costruito su questa capacità le loro vittorie e la loro buona amministrazione.
Poter allargare in quella direzione i consensi del Pd non è pericoloso: è pericoloso non farlo, perché lo farà qualcun altro, e poi sarà questo qualcun altro a piazzarsi al centro della scena politica. «Somigliare a Berlusconi», poi, che cosa significa?
Sul piano personale, visto che cos’è Berlusconi oggi per gli italiani, è un’offesa gratuita che non si attaglia a nessuno dei leader dell’opposizione.
Sul piano della capacità di comunicazione, non penso che sia effettivamente un complimento perché ormai Berlusconi è un comunicatore obsoleto, di vecchissimo stampo paleo-televisivo. Renzi è meglio, molti altri sono meglio. Perfino Bersani sarebbe meglio, se non facesse finta di vergognarsi delle malizie comunicative che perfino lui adopera a piene mani.
E sul piano politico? Lasciatelo dire ai Cobas che manifestano fuori alla Leopolda, che erano e sarebbero altrettanto nemici del Bersani liberalizzatore. Sostenere che l’Italia deve aprirsi, spezzare le gabbie corporative, puntare sulle capacità e sul merito dei suoi ragazzi e sfruttare le potenzialità della sussidiarietà in economia non vuol dire voler fare come Berlusconi: vuol dire voler fare l’opposto di ciò che ha fatto Berlusconi in diciassette anni. E se volete dare del liberista a Renzi, fate pure: ma non paragonatelo all’uomo che ha fatto di meno per l’economia liberale fra tutti i leader italiani recenti.
Renzi è una notevole opportunità per il Pd e per il centrosinistra italiani. Per qualcuno è addirittura l’unica, anche se io non credo che lui meriti tanta esagerazione.
Sul piano personale Bersani a me sta molto simpatico, Renzi capisco che possa stare antipatico. Il fatto è che il Pd in queste ore si sta aprendo come una mela su un giudizio di questo tipo: di gradevolezza personale. È molto pericoloso, abbiamo già avuto uno a cui si perdonavano tante follie perché era simpatico.
Non dobbiamo scegliere l’amico con cui passare la serata, dobbiamo capire che cosa è meglio prima per vincere e poi per governare. E qui, mettendo insieme questi due obiettivi inscindibili, ho l’impressione che Bersani e Renzi siano più complementari che opposti. Come vorrei che fossero complementari e non opposti i tre giorni di intelligenza liberata della Leopolda e la piazza di Roma, fra una settimana: che sarà piena, orgogliosa e determinata, da utilizzare come prova di forza verso Berlusconi e non all’interno del partito.
Scrivo questo sapendo benissimo, non sono così ingenuo, che Bersani e Renzi sono destinati a scontrarsi, anche duramente, in primarie che non saranno un pranzo di gala. Ma è superando questi passaggi aspri che si costruiscono le nuove stagioni politiche.
Nell’anno 2011 l’approccio alla politica – piaccia o no – è segnato da fattori molto vari, e alcuni hanno strettamente a che vedere con le logiche del mercato.
Bersani è una solida ditta monomarca, sta lì da sempre, è garanzia di serietà ma l’innovazione di prodotto non è il suo forte.
Renzi è un supermarket del contemporaneo: qualsiasi idea della sinistra e del progressismo abbiate, ne troverete un po’, insieme a tutti i gadget immaginabili della società dell’informazione.
Indovinate davanti a quale dei due negozi si stia formando la fila.
E se questo negozio promette di fare cassa per voi, lo regalate alla concorrenza? Pensaci, Pd.