Bersani, il referendum ti aiuta
La tesi referendaria è ormai passata nel Pd, travolgendo le vere o presunte distinzioni di area. Ai tavoli, ancora troppo pochi, si sono presentati a firmare dirigenti d’ogni tipo, in modo libero e trasversale. Alcuni di loro anche molto vicini al segretario Bersani.
Non è il segno di un partito diviso e ingovernabile, come lo vogliono raccontare. È il segno di un gruppo dirigente a contatto con la realtà e con l’umore diffuso, preoccupato di offrire prospettive e orientamento alla domanda di riforma della politica. Non dimentichiamo che la vera qualità della recente primavera italiana è stata nel fatto che l’insofferenza contro la cattiva politica si è espressa con grande partecipazione alle scadenze elettorali e con precise scelte su partiti e candidati: quindi tutt’altro che antipolitica. C’è stato ancora un investimento, c’è stata fiducia.
Questo è oro puro per il Pd. Non deve deludere le attese, che in questa stagione si nutrono di una costante richiesta di partecipazione diretta sulle scelte importanti. Quindi anche sulla riforma elettorale, visto che per generale ammissione non esistono condizioni parlamentari per fare una buona legge (tant’è vero che il Pd chiede di chiuderla, questa legislatura).
D’Alema nota a ragione l’accanimento contro il Pd e contro Bersani. Non saranno però denunce e lamentele a fermare il tentativo di ridimensionamento. Ci vuole una forte iniziativa d’attacco, di cui il referendum è parte per quanto attiene al cruciale capitolo della riforma della politica. Se la raccolta di firme fallisse per scarso sostegno di chi può darlo, Bersani ne sarebbe indebolito, avrebbe uno strumento di meno. Ci pensi, oggi.